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Cina, gran rilancio della produzione: ma su Xi incombe il rebus sulle pensioni

Attività manifatturiera, crescita record in Cina. Ma la ripresa non è ancora stabile

La Cina è ripartita. Così almeno sembrano dimostrare i dati rilasciati oggi sull'attività manifatturiera, che si è espansa a febbraio al ritmo più veloce in più di un decennio, superando le aspettative grazie all'aumento della produzione dopo l'abolizione delle restrizioni per la pandemia di Covid-19 alla fine dello scorso anno. Un segnale confortante, viste le enormi difficoltà dettate dalla durissima strategia zero Covid che era stata imposta dal governo di Pechino sino allo scorso dicembre.

Secondo l'Ufficio nazionale di statistica cinese, l'indice dei responsabili degli acquisti del settore manifatturiero (PMI) è salito a 52,6 da 50,1 di gennaio, superando la soglia dei 50 punti che separa l'espansione dalla contrazione dell'attività. Il PMI ha superato di gran lunga le previsioni degli analisti di 50,5 ed è stato il valore più alto dall'aprile 2012.

L'attività edilizia, che fa parte del PMI ufficiale non manifatturiero, ha registrato un'ulteriore crescita, attestandosi a 60,2 da 56,4, in parte grazie alla conseguente spinta alla spesa per le infrastrutture e all'aumento dei finanziamenti per aiutare gli sviluppatori a completare i progetti in stallo. Anche l'attività dei servizi ha continuato a crescere, con miglioramenti nei settori dei trasporti e degli alloggi.

Detto questo, le prospettive più generali rimangono contrastanti, dato che i principali partner commerciali del Paese sono alle prese con l'aumento dei tassi di interesse e la pressione sui costi. E va considerato che l'aumento è rispetto a un mese nel quale l'attività manifatturiera aveva subito una serie di effetti collaterali a causa dell'ondata di contagi da coronavirus che aveva fatto seguito all'allentamento o rimozione delle restrizioni.

La banca centrale cinese ha dichiarato che l'economia nazionale dovrebbe registrare una ripresa generale nel 2023, sebbene il contesto esterno rimanga "grave e complesso". Ma il governo sa che le fondamenta del rilancio sono ancora fragili. Non a caso, nel comunicato finale del secondo plenum del 20esimo Comitato centrale del Partito comunista, concluso il 28 febbraio, si insiste molto sulla necessità di dover perseguire la "stabilità" economica di fronte a uno scenario interno e globale che presenta diverse sfide.

Gli scenari preoccupanti sulle pensioni e la sanità

Sul fronte interno, a preoccupare ci sono alcuni dati che possono aprire scenari preoccupanti sul futuro. Con il declino e l'invecchiamento degli 1,4 miliardi di abitanti della Cina, in parte a causa di una politica che ha limitato le coppie a un solo figlio dal 1980 al 2015, la pressione sui bilanci pensionistici è in aumento. Anzi, ci sono già delle crepe nel sistema. Secondo Reuters, 11 delle 31 giurisdizioni cinesi a livello provinciale hanno un deficit di bilancio pensionistico, con quello di Heilongjiang che è il più grande, pari a -2,4% del PIL, secondo i dati del ministero delle Finanze.

L'Accademia delle Scienze cinese, gestita dallo Stato, prevede che il sistema pensionistico si esaurirà entro il 2035. Le conseguenze potrebbero essere gravi anche sul piano sociale. Nelle scorse settimane, diversi pensionati sono scesi in strada per protestare, in particolare a Wuhan, per il taglio dell'assistenza sanitaria motivata dal fatto che le autorità locali si vedono ora le casse abbastanza a secco dopo le ingenti spese a cui soo state costrette negli ultimi anni per mantenere l'impalcatura della strategia zero Covid.

Il sistema pensionistico cinese è in gran parte amministrato a livello provinciale, prevalentemente sulla base della ripartizione, il che significa che i contributi della forza lavoro attiva pagano le pensioni di coloro che sono andati in pensione. Nel 2018 la Cina ha creato un fondo speciale per trasferire i fondi pensionistici dalle province più ricche, come il Guangdong, a quelle in deficit, ma gli economisti lo considerano solo un ripiego.

Molti esperti suggeriscono l'implementazione di un sistema pensionistico nazionale unificato, sostenuto dal governo centrale, più dotato di risorse. Vedremo, ma la strada delle riforme è complicata anche perché a quel punto i problemi sarebbero appunto additati in direzione di Pechino e non più verso i governi decentrati. Nel frattempo il governo cerca di stimolare il tasso di natalità, visto che lo storico calo demografico iniziato nel 2022 potrebbe aggiungere preoblemi nel medio termine. Anche dal punto di vista del welfare e delle pensioni.

Quest'anno, la popolazione indiana dovrebbe superare quella della Cina, che nel 2022 ha registrato il tasso di natalità più basso di sempre, pari a 6,77 per 1.000 persone. In futuro Pechino potrebbe vedere parzialmente ridimensionato il suo ruolo di motore dell'economia globale, con la preoccupazione interna di dover rivedere i costi dell'assistenza agli anziani sul governo.

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