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Esteri
Cina, l'economia inizia a rallentare. Meno investitori dopo la stretta tech
(fonte Lapresse)

La locomotiva cinese rallenta. Primi segnali non positivi per l'economia della Repubblica Popolare, l'unica tra le grandi potenze riuscita finora a evitare contraccolpi esageratamente negativi per la pandemia da Covid-19. Basti pensare che nel 2020, anno I del nuovo coronavirus, Pechino è comunque riuscita nell'impresa di chiudere con il segno più davanti a un ottimo 2,3% di crescita del pil. Ora, però, a oltre un anno e mezzo di distanza, si registra qualche campanello d'allarme. 

Cina: rallenta l'indice Pmi manifatturiero, contrazione per i servizi

L'indice Pmi calcolato dall'Ufficio Nazionale di Statistica di Pechino per il settore manifatturiero si è fermato a quota 50,1 per il mese di agosto, rispetto al 50,4 di luglio e in lieve caso anche rispetto alle attese di 50,2. Si tratta comunque di un'espansione, perché è stato di poco superato lo scoglio del 50 nell'indice, al di sotto del quale si registra invece una contrazione. In flessione vera invece il settore dei servizi, per la prima volta dal culmine dell'epidemia da coronavirus a Wuhan nel febbraio 2020.

L'indice Pmi ufficiale per il non manifatturiero è infatti nettamente in calo con una discesa fino a quota 47,5 ad agosto 2021, molto al di sotto di quota 53,3 toccata a luglio e ben al di sotto delle attese che lo accreditavano di un possibile 52. Dati che chiariscono che la ripresa, garantita soprattutto dal ricorso ai settori tradizionali come le infrastrutture e l'aumento del debito pubblico soprattutto a livello locale, non è ancora stabile sotto il profilo dei consumi e dei servizi.

Cina, sul rallentamento incidono le restrizioni anti Covid e il blocco ai porti

Incidono in modo negativo le nuove restrizioni introdotte per limitare la diffusione della variante Delta, nonché il calo delle esportazioni causato anche dalle temporanee chiusure di scali commerciali fondamentali come una parte del porto di Ningbo. Le cose vanno invece molto meglio per il settore bancario. I grandi istituti finanziari statali hanno registrato profitti in forte rialzo nel primo semestre del 2021 con utili, nel caso del colosso Bank of China, vicini ai 15 miliardi di euro e un aumento dell'11,8% su base annuale. 

Lo scorso autunno Xi Jinping ha lanciato il modello economico della "doppia circolazione", volto ad aumentare l'autosufficienza di Pechino e l'impermeabilità alle turbolenze esterne. Ora però c'è una doppia preoccupazione. Oltre alla contrazione dei servizi si registra infatti anche qualche problema sul fronte degli investimenti esteri. La stretta del governo sui colossi della tecnologia e la crescente presenza statale nel settore privato stanno creando qualche timore su chi dall'esterno vuole puntare denaro sulla Cina.

La stretta sui colossi tech allontana gli investitori stranieri

Le ultime cifre rappresentano un netto calo rispetto all'anno precedente, quantomeno nel mese di agosto. Il tutto in controtendenza rispetto alla figura totale sui primi otto mesi, nei quali le startup cinesi hanno raccolto 32,6 miliardi di dollari da 634 accordi che includevano venture capital stranieri, rispetto ai 18,9 miliardi di dollari da 453 nei primi otto mesi del 2020. Ma se si considerano solo i primi 25 giorni di agosto, la cifra scende a 800 milioni di dollari da 67 accordi con partecipazione straniera, in calo rispetto ai 4,7 miliardi di dollari di luglio. Il record negativo precedente era di 900 milioni di dollari del gennaio 2020, quando il coronavirus aveva già colpito la Cina.

Il collegamento con la stretta regolatoria e normativa del governo sui colossi privati è evidente. Anche per l'entrata in scena di nuove leggi e regole proprio nelle ultime settimane, da qualle sulla privacy a quella sui dati fino all'ultima novità delle limitazioni all'utilizzo dei videogiochi. Diversi attori di primo piano stanno facendo un passo indietro rispetto alla Cina. Per esempio SoftBank di Mayoshi Son che ha annunciato lo stop agli investimenti nelle startup cinesi fino a quando non ci saranno elementi più chiare sulle intenzioni del governo nel settore tecnologico.

Gli investitori stranieri hanno partecipato a circa un quarto di tutti gli accordi venture capital in Cina negli ultimi tre anni, dopo che l'attività ha raggiunto il picco nel 2018. Le brusche azioni politiche di Pechino potrebbero però alterare l'attrattività delle aziende che attraggono capitali da casa e dall'estero. Finora, infatti, il Partito era stato cauto nell'inserirsi troppo in profondità nel settore tech, il fiore all'occhiello della nuova ambiziosa Cina di Xi dal punto di vista economico. Tutto è cambiato dopo il caso di Ant Group. Jack Ma doveva essere solo un esempio, e invece era il primo di tanti.

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