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Esteri
Coronavirus, il rapporto della Fondazione Italia-Cina sulla ripresa economica

La ripresa post-Covid passa dalla Cina

È uscito l’XI Rapporto annuale della Fondazione Italia Cina, “Cina 2020. Scenari e prospettive per le imprese”, la guida che raccoglie ricerche, analisi di rischio e previsioni nel breve-medio periodo sulla Cina. Il Rapporto – elaborato dal CeSIF, il Centro Studi per l’Impresa della Fondazione Italia Cina –, è il più completo outlook sulla Cina attualmente presente in Italia, finalizzato a mostrare le prospettive per le imprese italiane in Cina. Il volume presenta gli scenari politici, economici e di accesso al business in Cina, con un approfondimento dei settori di maggior interesse per le imprese italiane e delle opportunità di investimento per le imprese cinesi in Italia.

L’edizione 2020 del Rapporto annuale è composta da 300 pagine, 202 grafici e 34 tabelle. La pubblicazione prevede sette sezioni: le prime cinque riportano un’analisi di rischio Paese da un punto di vista politico, macroeconomico e di business environment. La sesta espone le principali implicazioni e opportunità settoriali per le imprese estere in Cina, con particolare riferimento a quelle italiane. Nello specifico sono analizzati 10 settori: alimenti e bevande, sanitario, retail, beni di lusso, protezione ambientale, prodotti chimici, macchinari, automotive, media e intrattenimento, arredamento. L’ultimo capitolo presenta le opportunità in Italia: turismo cinese e shopping, investimenti e incoming di studenti dalla Cina.

Le prospettive post-coronavirus

La valutazione delle prospettive post Covid-19 in Cina dipende da molti fattori. In primo luogo, bisogna considerare che una riflessione sulla Cina non potrà essere fatta solo in termini assoluti, ma anche in quelli relativi. Ovvero, un rallentamento della crescita a valori di poco positivi o, persino, di poco negativi dovrà essere confrontato con le riduzioni fino a 10 punti percentuali degli altri Paesi. In questo senso, è possibile affermare con ragionevole certezza che il peso economico relativo della Cina aumenterà. Questo varrà soprattutto in termini di consumi che, da un lato, dovrebbero ridursi meno che in altri Paesi, e dall’altro dovrebbero beneficiare del rimpatrio delle transazioni prima effettuate all’estero in occasione di viaggi per turismo.

La Cina risulta così centrale nelle strategie di rilancio post Covid-19 per le aziende esportatrici che dovranno tenere in considerazione le dinamiche preesistenti di attenzione alla qualità, ruolo del digitale e del graduale ampliamento della base di consumo ad altre aree del Paese finora meno coinvolte. Inoltre, il tasso di crescita cinese, sebbene non sia stato indicato un target annuale, sarà sostenuto dall’esigenza di raggiungere altri sub indicatori che saranno determinanti nel poter dichiarare di aver raggiunto l’obiettivo di società moderatamente prosperosa e di conseguenza potranno essere attivate leve fiscali di stimolo anche in deroga ai propositi di riduzione dell’indebitamento e risulterà ancora più in tensione il rapporto tra crescita economica e tutela ambientale.

Bisogna anche considerare che permarrà una situazione di incertezza sul fronte esterno che potrebbe acutizzarsi in vista delle elezioni presidenziali americane. L’ambito più esposto è quello tecnologico, che si ripercuoterà sulle catene di fornitura globale in un processo di ridefinizione della localizzazione della produzione che non sarà però immediato e che riguarderà soprattutto aziende statunitensi.

In conseguenza della crescita economica della Cina su scala globale, le relazioni economiche italo-cinesi avranno un ruolo sempre maggiore nel prossimo futuro. Gli elementi in gioco sono molteplici e riguardano le relazioni commerciali, gli investimenti italiani in Cina e gli investimenti cinesi in Italia. Per quanto riguarda le relazioni commerciali, oltre a ragionare sui valori dell’interscambio e sull’evoluzione della bilancia commerciale, è opportuno, in un’ottica di lungo periodo osservare l’andamento delle quote italiane nelle principali voci di esportazioni verso la Cina.

Una tale analisi permette di comprendere se si stiano raccogliendo tutte le opportunità presenti, tenendo conto che la Cina rappresenta ancora la nona destinazione per l’export italiano con una quota del 2,7%. In un confronto fra il 2011 e il 2019 emerge come, nell’ambito delle esportazioni europee verso la Cina, l’Italia sia cresciuta rispetto agli altri Paesi membri nel tessile e negli articoli in pelle e cuoio, ovvero le due voci di cui rappresenta il principale partner della Cina nella UE con oltre un terzo degli scambi. Sempre in ambito europeo, nel 2019 la quota italiana è cresciuta solo nei prodotti chimici e nei prodotti in pelle, per i quali – insieme al tessile – si consolida il primato nell’export europeo verso la Cina con più di un terzo del totale.

Nelle altre voci principali dell’export italiano verso la Cina, invece, si registra generalmente una incidenza marginale rispetto alla Germania e una leggera variazione nelle quote. Si registra un aumento positivo nei prodotti chimici e nei mezzi di trasporto, mentre un calo nei macchinari e negli articoli in metallo. Questi settori sono quelli coinvolti da Made in China 2025 e, più in generale, dall’innovazione del tessuto industriale cinese e che quindi potrebbero subire una decisa ristrutturazione nei prossimi anni. È utile ricordare che la lista delle prime 10 voci esportate reciprocamente tra Italia e Cina contiene sostanzialmente le stesse categorie merceologiche ma risulta differenziata nel target di riferimento per il maggior livello qualitativo dell’export italiano. 

Il Sistema Paese e la relazione con la Cina

Nonostante la pandemia dovuta al Covid-19, alcune linee di tendenza rimangono stabili anche per il 2020 e i primi mesi del 2021, trattandosi di dinamiche di lungo periodo che hanno vissuto una accelerazione nei primi sei mesi del 2020. Bisogna, dunque, considerare un contesto generale al quale si applicano indicazioni per le aziende e per le istituzioni e che si riferiscono sia al consumo sia alla produzione.

Le linee di fondo sono:

A. la Cina rappresenta un mercato di grande prospettiva per la domanda interna in crescita, che sarà alimentata dal rimpatrio degli acquisti prima effettuati all’estero durante viaggi per turismo;

B. la produzione cinese volgerà presto verso i settori altamente specializzati in virtù di massicci investimenti in ricerca e sviluppo;

C. la dimensione del mercato cinese e dei competitor locali renderà sempre più difficile l’operatività di singole aziende di taglia contenuta;

D. il rallentamento economico e il contesto internazionale in mutamento potrebbero portare la Cina ad alleviare le restrizioni per le aziende straniere nell’ottica di attrarre investimenti;

E. lo scontro sempre più manifesto per il primato economico e tecnologico a livello globale nel lungo periodo potrebbe comportare l’adozione di misure impreviste.

Per meglio rispondere a queste dinamiche, occorre una regia politica di alto livello. Il Sistema Paese – inteso come istituzioni, grandi imprese e istituzioni finanziarie – dovrà agire di concerto per portare avanti azioni unitarie per risolvere le principali questioni aperte che caratterizzano le relazioni fra Italia e Cina:

• In ambito di investimenti in entrata: il ruolo dello screening agli investimenti cinesi e l’attrazione di capitali a sostegno del tessuto produttivo, anche nel contesto della Belt and Road Initiative

• In ambito di investimenti in uscita: l’apertura di settori considerati strategici nel contesto della reciprocità il sostegno alle imprese italiane in ambito creditizio e di servizi assicurativi

• In ambito di interscambio: la riduzione del deficit commerciale il gap con competitor europei nei settori in sovrapposizione l’effetto dell’avanzamento qualitativo dell’export cinese sull’interscambio bilaterale e sulle principali destinazioni dell’export italiano

Nel 2019 e nella prima parte del 2020 si sono registrate alcune tendenze positive, quali la graduale riduzione delle limitazioni indicate nella Negative List e l’entrata in vigore della Nuova Legge sugli investimenti esteri. Dall’altro lato, l’investimento da un miliardo di euro da parte di Faw e Silk Ev in Emilia-Romagna risponde positivamente all’esigenza di rafforzare le ricadute sul territorio degli investimenti cinesi in Italia, soprattutto in termini di occupazione. Per quanto riguarda l’interscambio, l’evoluzione dei consumi a seguito dell’epidemia aumenta il peso relativo della Cina nel breve e medio termine e rinnova l’esigenza di presentarsi sul mercato cinese con una formazione adeguata al territorio.

Interscambio

Dopo un biennio positivo di crescita delle esportazioni, tanto che nel 2018 hanno raggiunto l’incremento più elevato (+9,8%) dal 2011 (+20%), nel 2019 la crescita è stata nettamente ridotta, calcolata nell’ordine dello 0,5% e nel valore di 2.499,494 miliardi di dollari (secondo i dati delle Dogane cinesi), un effetto tangibile della piena attuazione dei dazi americani entrati in vigore a metà 2018.

In aggiunta, le importazioni verso Pechino hanno registrato un calo significativo del -3,7% rispetto al 2018, raggiungendo la quota di 2.054,871 miliardi di dollari. Queste dinamiche hanno comportato nuovamente un tasso di crescita negativo dell’interscambio, assestato nel 2019 a 4.554,365 miliardi di dollari (-1,4% rispetto l’anno precedente). Per quanto riguarda la bilancia commerciale cinese, questa si riconferma in surplus, con un avanzo di 444,623 miliardi di dollari, la quale registra un tasso di crescita positivo (+20,1%) dopo tre anni di crescita negativa (-14% nel 2016, -17,4% nel 2017 – il più significativo dal 2009 –, -16,5% nel 2018). 

Analizzando i dati sull’interscambio bilaterale si segnala come i valori più elevati delle importazioni della Cina si riferiscono ai vicini asiatici (1.144 miliardi di dollari), mentre al secondo posto vi è l’Europa con 375 miliardi (una buona crescita rispetto ai 327 miliardi del 2017). Per quanto riguarda l’export cinese, l’Asia resta sempre in testa, con un valore di 1.222 miliardi di dollari e una crescita nel 2019 del 2,2%. L’Europa è seconda con 498 miliardi e una crescita del 4,2%, subito inseguita dal Nord America, per un valore complessivo di 455 miliardi di dollari e una crescita in calo del 2%.

Guardando nel dettaglio ai valori di interscambio tra la Cina e i Paesi europei offerti dal sito delle Dogane cinesi, è possibile effettuare le seguenti osservazioni:

• L’import tedesco dalla Cina è di 79.706 miliardi di dollari (+1,98%), quello francese di 32.777 (+6,28%), mentre quello italiano di 33.410 (+2,72%);

• Per quanto riguarda l’export invece, la Germania resta sempre in testa a livello europeo, esportando merci per un valore complessivo di 105.037 miliardi di dollari, mentre la Francia ne esporta 32.570 e l’Italia 21.421 miliardi di dollari. L’export italiano verso la Cina ha registrato il tasso di crescita più alto (+1,1% rispetto al 2018), mentre la crescita tedesca risulta negativa (-0,9%) e quella francese poco sotto a quella italiana (+0,9%);

• L’interscambio totale tra Cina e Germania anche nel 2019 tocca la cifra di 184 miliardi di dollari, mentre tra Cina e Francia di 65 miliardi e tra Cina e Italia di 54 miliardi.

L’Italia

Per quanto riguarda l’Italia il deficit commerciale ha mostrato una leggera riduzione da 12,15 miliardi di dollari nel 2018 a 11,9 miliardi nel 2019. Esiste tuttavia una forte differenza tra i dati delle Dogane cinesi e le rilevazioni dell’Istat per quanto riguarda i valori di interscambio tra Cina e Italia. Secondo la fonte italiana, per l’anno 2019 si segnalano un valore di 12,9 miliardi circa per le esportazioni italiane in Cina e di 31,4 miliardi di euro per le importazioni.

Turismo cinese e investimenti 

Per una sfortunata coincidenza, l’Anno della cultura e del turismo Italia Cina nel 50esimo anniversario delle relazioni diplomatiche – un’iniziativa verso la quale erano rivolte grandi aspettative – è stato aperto con un forum a Roma il 21 gennaio, a poche ore dal riconoscimento, da parte delle autorità cinesi, della trasmissibilità interumana del Covid-19. Le iniziative organizzate nel corso dell’anno sono state, per forza di cose, annullate in considerazione delle limitazioni degli spostamenti adottate prima in Cina e poi nel resto del mondo.

La volontà di ripresa, tuttavia, ha portato a riprogrammare tali attività per il 2022, un’occasione cui presentarsi a pieno regime e in cui si potrà anche lavorare sulla staffetta tra le città olimpiche invernali Pechino e Milano. L’auspicio è che si possa innestare lo stesso meccanismo positivo che si verificò nel 2010- 2015, quando sempre Milano ricevette il testimone dell’Expo 2010 da Shanghai. I primi indicatori di ripartenza dopo la fine delle limitazioni in Cina dimostrano lenti, ma graduali segnali di qualche fiducia. Per esempio, osservando i dati sul turismo interno si nota come nelle festività del 1° maggio si siano registrati 115 milioni di visite.

Questo dato è certamente inferiore ai 195 milioni del 2019, ma è molto vicino ai 117 milioni del 2016 e superiore alle attese di 90 di visite preventivate. In generale, si registra al momento una tendenza a preferire spostamenti interni, facilmente collegati. Per il futuro immediato, si individua il momento di ripresa nella settimana che coincide con le celebrazioni della Repubblica popolare cinese a inizio ottobre.

Nel 2019 la spesa torna in crescita

Se nel 2018 si era registrato un calo generale del 7% della spesa tax free in Italia, nel 2019 torna il segno positivo sul totale delle vendite (+25%), delle transazioni (+19%) e sullo scontrino medio (+5%). Il dato cinese, pur positivo, è inferiore alla media nella crescita delle vendite totali (+15%) e delle transazioni (+3%), ma è ampiamente superiore in termini di crescita dello scontrino medio grazie a un +11% secondo solo al valore di Hong Kong (+15%). Date queste premesse, ecco i principali aspetti da sottolineare:

• La progressione dei cinesi seppur a ritmo minore delle altre nazionalità, ma con una conferma della crescita della spesa media;

• La crescita si distribuisce in tutte le città italiane, ma in maniera maggiore a Firenze e Venezia, pur restando Milano la principale destinazione per lo shopping;

• Un rapporto stabile tra outlet e non outlet con valori identici all’anno precedente

Acquisti cinesi in Italia

Nel 2019 le spese relative agli acquisti cinesi in Italia sono aumentate del 15%, in controtendenza rispetto al -7% dell’anno precedente. In considerazione della grande crescita delle altre nazionalità (Stati Uniti + 40%, Golfo +46%) la quota cinese sul totale cala leggermente al 28%, pur mantenendo saldamente il primato davanti a Russia (12%) e Stati Uniti (11%).

Lo scontrino medio cinese cresce ad un tasso più veloce di quello di altre nazionalità, accelerando il ritmo rispetto al +7% del 2018 e +3% del 2017. In aggiunta, lo scontrino medio dei cittadini cinesi partiva già da valori molti alti, tanto che con 1.217 € è secondo solo a quelli dei turisti da Hong Kong (1.644 €) e ampiamente superiore rispetto alla media di 862 €.

Per quanto riguarda le categorie merceologiche, gli acquisti dei turisti cinesi sono rivolti prevalentemente al settore abbigliamento e pelletteria (70%, in crescita rispetto al 66% del 2018), seguito dalla gioielleria al 16%.

I turisti cinesi continuano a prediligere lo shopping nelle grandi città che continuano a erodere quote rispetto agli altri centri minori, tanto che le prime 4 città registrano da sole il 79% di tutta la spesa tax free cinese. In controtendenza rispetto agli anni passati, nel 2019 Milano è cresciuta ad un ritmo inferiore rispetto agli altri grandi centri, pur mantenendo il ruolo di principale città dello shopping cinese in Italia con il 39% della spesa (in calo dal 42%), seguita a distanza da Roma (22%), Firenze (11%) e Venezia (7%). Tutte le città hanno registrato una crescita a doppia cifra, con Venezia che ha addirittura riscontrato una crescita del 33%.

Investimenti

A fine 2019 risultano direttamente presenti in Italia attraverso almeno un’impresa partecipata 405 gruppi cinesi, di cui 270 cinesi e 135 con sede principale a Hong Kong. Il riferimento è all’investitore ultimo; dunque, nel caso non infrequente di partecipazioni detenute da gruppi cinesi attraverso società di Hong Kong, l’investimento è attribuito alla casa-madre cinese.

Le imprese italiane partecipate da tali gruppi sono in tutto 760 e la loro occupazione è di poco superiore a 43.700 unità, con un giro d’affari di oltre 25,2 miliardi di euro. In particolare, le 572 imprese italiane a partecipazione cinese occupano oltre 31 mila dipendenti, mentre il loro giro d’affari sfiora i 17,9 miliardi di euro; le 188 imprese partecipate da multinazionali di Hong Kong occupano invece oltre 12.600 dipendenti e il loro giro d’affari è pari a 7,35 miliardi di euro.

Per contestualizzare il peso delle imprese a partecipazione cinese sul totale delle partecipazioni estere in Italia, si può ricordare che, secondo il rapporto “Italia Multinazionale 2019”, alla fine del 2017 le imprese a partecipazione cinese rappresentavano il 3% di tutte le imprese italiane a partecipazione  estera, mentre la loro incidenza con riferimento al numero dei dipendenti delle imprese partecipate era pari allo 2,1%; l’incidenza delle partecipazioni attribuibili a Hong Kong era invece pari allo 0,8% per entrambi gli indicatori.

Tale incidenza si è stabilizzata negli anni più recenti, dopo la forte crescita registrata a partire dalla metà dello scorso decennio. Concentrando l’attenzione sulle partecipazioni delle sole imprese cinesi, si può rilevare come nella grande maggioranza dei casi l’investitore cinese detenga il controllo dell’impresa italiana partecipata, in misura analoga a quanto avviene per le multinazionali dei Paesi avanzati. Le imprese a controllo cinese sono infatti 496, ovvero l’86,7% del totale; esse occupano quasi 24.800 dipendenti e hanno un giro d’affari di oltre 15,5 miliardi di euro.

Dal punto di vista settoriale, le attività delle imprese italiane a partecipazione cinese appaiono abbastanza diversificate, dividendosi quasi equamente tra i principali comparti. Il maggior numero di imprese partecipate (150) si registra nel settore manifatturiero, che rappresenta però quasi i tre quarti del totale in termini di dipendenti (oltre 22.700). Segue a grande distanza il comparto dei servizi, con oltre 4.500 dipendenti in 173 imprese partecipate; si contano quindi 126 imprese commerciali, con quasi 3.300 dipendenti, mentre i rimanenti comparti (settori primari, costruzioni e utilities) contano in tutto poco più di 500 dipendenti in 142 imprese partecipate (per lo più nel settore della produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica).

Nel comparto manifatturiero il maggior numero di imprese a partecipazione cinese si riscontra nel settore delle macchine e apparecchiature meccaniche (ben 57 imprese partecipate, con oltre 8 mila dipendenti). Seguono per numero di dipendenti delle imprese partecipate il settore dei prodotti in gomma e plastica (oltre 3 mila, grazie soprattutto alle attività industriali del gruppo Pirelli) e quello dei prodotti informatici, elettronici e ottici (2.630 dipendenti). Superano la soglia dei mille dipendenti anche la metallurgia, gli altri mezzi di trasporto, i prodotti di metallo, l’automotive e i prodotti elettrici, questi ultimi grazie all’acquisizione di Candy da parte del gruppo Haier, avvenuta nel 2019.

Un comportamento non dissimile da quello delle altre multinazionali presenti in Italia si ha anche con riferimento alla distribuzione territoriale delle imprese partecipate, concentrate per i quattro quinti del totale nelle regioni settentrionali. Spicca la Lombardia, che ospita 258 imprese a capitale cinese, pari ad oltre il 46% del totale; seguono Lazio con 68 imprese, Emilia-Romagna con 54, Piemonte e Veneto con 40 ciascuna. La Lombardia guida anche la graduatoria relativa al numero di dipendenti (quasi 11.700, pari al 45% del totale), seguita da Emilia-Romagna (oltre 4.300), Piemonte (circa 4.200), Veneto (quasi 3.900) e Liguria (poco meno di 3 mila); l’incidenza di queste cinque regioni supera l’87% del totale.

Riguardo alla modalità di ingresso, infine, si rileva come circa la metà delle imprese a partecipazione cinese censite dalla banca dati siano state oggetto di investimento greenfield: in altri termini, si tratta di imprese create ex novo dall’investitore cinese, eventualmente in partnership con soci italiani. Negli altri casi, l’investimento cinese ha invece avuto luogo tramite l’acquisizione di attività pre-esistenti. Gli investimenti greenfield sono nettamente prevalenti nel caso di attività commerciali o di servizio, mentre nel caso di attività manifatturiere l’ingresso delle imprese cinesi sul mercato italiano avviene sempre più spesso attraverso l’acquisizione di attività preesistenti (talvolta indirettamente, attraverso l’acquisizione di un gruppo estero con attività produttive in Italia), ancora una volta in analogia con il comportamento delle altre multinazionali presenti in Italia.

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