Gaza, la condizione per la pace? Crescere giovani ebrei e palestinesi insieme - Affaritaliani.it

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Gaza, la condizione per la pace? Crescere giovani ebrei e palestinesi insieme

Di Enrico Andreoli

La condizione essenziale per la Pace definitiva è umana: si tratta di crescere i giovani ebrei e palestinesi insieme in piccole comunità nei paesi europei

Gaza, ecco la condizione per una pace definitiva: crescere giovani ebrei e palestinesi insieme in piccole comunità

“Siamo italiani e pesano sulle nostre spalle 21 secoli di civiltà.” Comandante Salvatore Todaro.

Nell’osceno eccidio compiuto da Hamas il 7 Ottobre si legge tutta la disperazione del popolo palestinese, il cui territorio è occupato da 70 anni da una potenza straniera che ha una schiacciante superiorità militare ed economica e della cui sorte il mondo intero non vuol sapere.

La finanza internazionale è in mano agli Ebrei ed è per questa ragione che nessuno in Occidente ha mai alzato un sopracciglio di fronte alla violazione sistematica di tutte le risoluzioni dell’ONU che richiedevano a Israele il ripristino della legalità. Come non si disturba il conducente del bus non si disturba nemmeno il banchiere che intreccia i fili dell’economia mondiale. Noi europei, e specialmente noi mediterranei, abbiamo sulle spalle 21 secoli di civiltà greco-romana-cristiana; un peso che ci impedisce di far finta di non sapere che è necessaria una soluzione che faccia convergere il destino di due popoli che si odiano nell’arco delle prossime due generazioni: più o meno 40 anni.

Queste è l’orizzonte realistico della Pace: è un lungo cammino necessario a sopire i ricordi, dare tempo alla Morte per vecchiaia di portarsi via tutti coloro che videro o parteciparono allo scempio di questa guerra assoluta.

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Il modello di questa soluzione è descritto nella Bibbia. Mosè fa uscire con uno stratagemma il popolo palestinese dall’Egitto, paese dove avevano vissuto in schiavitù per 210. Uscita dell’Egitto e visto perire nelle sabbie mobili le divisioni corazzate del Faraone, gli ebrei vagarono per 40 anni nel deserto del Sinai in lento ed estenuante avvicinamento alla Terra Promessa.

Ma come mai passano nel deserto 40 anni? Perché deve morire la generazione di coloro che sono stati schiavi in Egitto; la schiavitù, la modalità esistenziale della schiavitù, era entrato nelle loro ossa, era diventata la struttura del loro modo di vivere. Anche qui, anche oggi, abbiamo bisogno di altri 40 anni per lasciare il tempo di morire in pace a tutti coloro che hanno vissuto la violenza della guerra con, e di, Israele. Il quinto comandamento “Non ucciderai” può imporsi soltanto dopo che si sia riusciti a spezzare la spirale infinita della vendetta. Per far questo non c’è altra via che tagliare il filo della memoria della violenza, fatta o subita. Per spezzare la spirale infinita della vendetta è necessario rompere gli schemi ed escogitare una soluzione sistemica. Per rompere gli schemi abbiamo bisogno di qualcosa di dirompente, di un attrezzo adeguato. L’unico distruttore di schemi che abbia la potenza richiesta è l’universalmente umano, ovvero una struttura di significati tenuta in piedi, e mantenuta vitale, dal suo stesso carattere naturale, dal suo imporsi presentarsi al senso comune, al comune sentire.

L’universalmente umano riesce a distruggere i limiti, a spezzare la catena della violenza, con la sola energia attinta dall'intuizione del bene; un gesto, questo dell'intuire, che si compie al di là di ogni giudizio perché che cosa sia il bene lo sanno anche i pargoli. L’intuizione del bene è la sua stessa animalità, immediatezza emotiva. L’universalmente umano si muove, si propaga, si conferma e giunge all’altro contaminandolo soltanto grazie a un vettore anch'esso umano; ciò per un immediato e naturale principio di coerenza.

E’ dunque ovvio affermare che per essere autenticamente umano – quindi universale – questo vettore deve necessariamente essere un essere umano, un singolo determinato individuo in carne, ossa e coscienza di essere autocosciente. In altre parole l’universalmente umano non può essere difeso, realizzato, fatto concreto da un’istituzione, dalle parole di un Papa, di un presidente della repubblica o di un saggio come il Dalai Lama. La pace tra popoli che si odiano richiede un eccesso di concretamente umano. Perciò siamo noi, ciascuno di noi, ad essere chiamati in causa: ciascuno nel suo corpo, ciascuno con il suo destino, ciascuno nel suo modo di vivere animato dal complesso sistema dei suoi valori.

Inutile invocare la pace tra due popoli, ambedue semiti, che si odiano dalla notte dei tempi, dal giorno in cui Abramo scacciò nel deserto Hagar e suo figlio Ismaele, fratello di sangue di Isacco. Inutile invocare la pace per un astratto principio positivo, per un nostro naturale appetito per il bene. Non basta l’astratto, abbiamo bisogno del concreto perché l’odio persiste nella fibra stessa di ebrei e palestinesi. Dobbiamo agire le condizioni della pace, ovvero noi dobbiamo prenderci cura dei giovani, dei bambini, degli orfani ebrei e palestinesi: dobbiamo impedire che siano risucchiati nella spirale mortifera dell’odio, della vendetta.

Questa nostra immediata e personale responsabilità è il portamento a cui noi siamo chiamati a rompere il nostro schema: quello di sterilmente inorridire comodamente seduti sul divano di fronte alla televisione. Siamo noi che dobbiamo rifiutare il conflitto come destino e ‘agire’ in prima persona questo rifiuto realizzando le condizioni di una Pace definitiva. La condizione essenziale per la Pace definitiva è umana, carnale e psicofisica: si tratta di crescere i giovani ebrei e palestinesi insieme in piccole comunità distribuite nei paesi europei. Mutatis mutandis il modello è quello della orchestra multinazionale e multietnica dei giovani, concepita e diretta dal maestro Barenboin; la speranza, la fede, è che chi ha suonato musica fin da bambino con l’altro, non imbraccerà mai un mitra per ucciderlo. Noi in Italia abbiamo decine e decine di borghi, di paesi e paesetti che possono essere recuperati per ospitare ragazzi semiti, istruirli e farli vivere insieme. Chi può dovrebbe prendere in casa una coppia di ragazzi semiti e farli crescere insieme. E’ un progetto di vasta portata che deve essere incentivato dallo Stato con misure fiscali ad hoc per chi ospita, per premi legati al merito degli ospitati.

Per coprire quei territori e quelle anime devastate dall’odio con l’energia terapeutica dell’universalmente umano, dobbiamo prenderci cura anche dei feriti. Pertanto il primo passo di questo lungo percorso evolutivo è quello di mandare nel mare davanti a Gaza, senza chiedere permesso a nessuno ma forzando la barra, le navi della nostra Marina riadattate ad ospedali per ribadire ‘orbi’ che noi italiani siamo ‘brava gente’ perché abbiamo sulle spalle 21 secoli di civiltà. Insomma per la Pace duratura abbiamo da lavorare per almeno vent’anni con buon senso, con capacità di leggere la realtà e volontà di accogliere, nella fibra del nostro essere, la necessità del bene come nostro destino.

Fatti non fummo a vivere come bruti.