Iran, che la guerra abbia inizio. Ma come agirà Teheran? Escalation o ritirata? I tre scenari più probabili - Affaritaliani.it

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Iran, che la guerra abbia inizio. Ma come agirà Teheran? Escalation o ritirata? I tre scenari più probabili

Il pericolo di un'escalation si fa sempre più pressante. Ma che cosa succederà davvero?

di Redazione Esteri

Iran, che la guerra abbia inizio. Ma come agirà Teheran? 

Gli Stati Uniti hanno dichiarato guerra all’Iran. Adesso, la Repubblica Islamica si trova di fronte a un bivio. La posizione definitiva non sarà chiara finché non interverrà la Guida Suprema, Ali Khamenei. Donald Trump ha già lanciato un monito inequivocabile: qualsiasi azione ritorsiva contro interessi statunitensi – nella regione o oltre – scatenerà una risposta militare ben più pesante di quella che ha colpito il sito nucleare di Fordow.

Di fronte agli appelli europei per riaprire i negoziati, il viceministro degli Esteri Abbas Araghchi ha risposto con fermezza: “È stata l’America a far fallire la diplomazia” e ha ribadito che l’Iran si riserva ogni possibilità per tutelare la propria sovranità e gli interessi del popolo iraniano. Lo stesso Araghchi è ora in viaggio verso Mosca, dove è previsto un incontro imminente con Vladimir Putin. Cosa potrebbe fare Teheran in modo concreto? La Repubblica ipotizza almeno tre scenari.

Ritorsione indiretta attraverso Israele

L’Iran potrebbe reagire colpendo Israele, cercando di evitare un'escalation diretta con gli Stati Uniti. I pasdaran hanno già annunciato una risposta che “farà rimpiangere l’aggressione” e hanno promesso operazioni “accurate e decise” contro infrastrutture e obiettivi strategici israeliani. Questo tipo di risposta rappresenterebbe anche un messaggio indiretto a Washington: “La presenza americana nella regione, con basi militari sparse e vulnerabili, è un punto debole più che una forza”. Tuttavia, la leadership iraniana potrebbe preferire un attacco dimostrativo, simbolico e limitato, per non mettere a rischio la sopravvivenza del regime con una risposta americana devastante.

Escalation militare diretta

Una seconda opzione consisterebbe in una risposta molto più aggressiva, che includa attacchi contro basi statunitensi od obiettivi diplomatici nella regione, oppure la chiusura dello Stretto di Hormuz, passaggio cruciale per l’esportazione globale di petrolio. Un attacco condotto con droni, missili da crociera e balistici potrebbe colpire le numerose installazioni americane distribuite in Medio Oriente: in Bahrein, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Iraq, Giordania, Oman, Arabia Saudita, Siria ed Egitto. Sebbene molte di queste basi siano dotate di sistemi di difesa aerea, la loro vicinanza geografica all’Iran le rende vulnerabili. Tuttavia, bloccare lo Stretto di Hormuz danneggerebbe anche l’economia iraniana, mettendo a rischio le esportazioni di greggio.

Contenere il conflitto e puntare sul nucleare

Un’altra strategia – ritenuta plausibile da diversi esperti iraniani – prevede una rappresaglia contenuta, più simbolica che distruttiva, per non provocare una risposta massiccia da parte degli Stati Uniti. In parallelo, Teheran potrebbe approfittare della crisi per accelerare, con maggiore ambiguità, il proprio programma nucleare.

Come scrive Repubblica, l’Iran sarebbe stato avvisato in anticipo dell’attacco ai siti nucleari di Fordow, Natanz e Isfahan. Una fonte politica iraniana di alto livello, rimasta anonima, ha riferito che l’amministrazione Trump ha chiarito l’intenzione di limitare l’offensiva solo a quegli impianti, escludendo l’opzione di un confronto militare totale. Secondo la stessa fonte, gli impianti erano già stati evacuati e gran parte dell’uranio arricchito è ora custodito in località sicure.

Le immagini satellitari fornite da Maxar mostrano movimenti logistici sospetti attorno a Fordow poco prima dell’attacco, alimentando l’ipotesi che Teheran fosse effettivamente preparata. I media iraniani minimizzano l’entità dei danni, affermando che solo i tunnel d’ingresso sono stati colpiti – strutture facilmente ricostruibili. Vero o meno, questo ridimensionamento sembra esprimere la volontà di non alzare il livello dello scontro.

L’analista Hamidreza Azizi ipotizza che l’Iran potrebbe non dichiarare ufficialmente il ritiro dal Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp), ma utilizzare l’attuale contesto bellico per sostenere di aver perso il controllo su parte del proprio materiale fissile, riservandosi la decisione di uscire dal Tnp in un secondo momento. In tal caso, non sarebbe nemmeno necessario un test nucleare per creare incertezza: la semplice possibilità che l’Iran disponga della bomba potrebbe bastare a dissuadere ulteriori aggressioni e complicare la strategia occidentale. A meno che Stati Uniti e Israele non scelgano di sfruttare la situazione per tentare un cambio di regime, con conseguenze potenzialmente imprevedibili.