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Esteri
Ucraina, l'Italia crede alle parole di pace della Cina. E Meloni non molla Xi

Lo zar della diplomazia cinese in Italia: Meloni non chiude a Xi

L'Italia non chiude la porta alla Cina. Nemmeno con il governo Meloni, che alla vigilia dell'entrata in carica sembrava destinato a poter diventare l'esecutivo meno accomodante degli ultimi decenni nei confronti di Pechino. Poi invece qualcosa è cambiato. A partire dal bilaterale, andato bene oltre qualsiasi previsione, tra la premier Giorgia Meloni e il presidente cinese Xi Jinping a margine del summit del G20 di Bali, in Indonesia, lo scorso novembre. 

I tentativi di dialogo e, anzi, la volontà di approfondire le relazioni sono dimostrate dalla tappa italiana del tour europeo di Wang Yi, ex ministro degli Esteri fresco di promozione al ruolo di direttore dell'Ufficio della Commissione centrale degli Affari esteri del Partito comunista cinese. Vale a dire, il principale ruolo diplomatico della struttura di Pechino. Era proprio lui a sorridere di fianco a Luigi Di Maio, allora ministro dello Sviluppo Economico, dopo la firma del governo Conte I al memorandum of understanding per l'adesione dell'Italia (primo paese del G7  a farlo) alla Belt and Road Initiative.

Di cose nel frattempo ne sono cambiate tante, ma non il desiderio dell'Italia di aumentare le esportazioni verso l'immenso mercato cinese. Un tema rimasto faro della diplomazia italiana sulla Cina anche col governo Meloni, che sembrava inizialmente poter essere più incline a scatti ideologici o di principio su questioni come Tibet e Taiwan. Wang ha promesso proprio questo durante l'incontro con il ministro degli Esteri Antonio Tajani, presente anche durante il ricevimento di Wang al Quirinale con Sergio Mattarella.

"Cina pronta a importare più prodotti italiani". Ma c'è il nodo della Via della Seta

La Cina è disposta a importare più prodotti italiani di alta qualità, supporta le aziende italiane nell'espansione della loro quota di mercato in Cina e spera che l'Italia fornisca alle aziende cinesi un ambiente commerciale equo, trasparente e non discriminatorio", ha detto Wang, che è poi passato al tema del rinnovo dell'accordo sulla Via della Seta, in scadenza nel 2024. "La Cina è disposta ad approfondire una cooperazione strategica globale con l'Italia per raggiungere un livello più elevato di sviluppo delle relazioni bilaterali" e, dopo la pandemia, Cina e Italia possono riprendere "in modo completo" gli scambi e la cooperazione in vari campi, ha detto Wang.

Tutt'altro che scontato che il rinnovo avverrà. In realtà il rinnovo è tacito, dunque il governo Meloni dovrebbe comunicare la decisione di non rinnovarlo. Una mossa che potrebbe creare tensioni, ma sulla quale sia la premier sia altri esponenti del governo hanno più volte detto che si sarebbero mossi per una revisione dell'accordo, comunque non vincolante. Per ora, a ogni modo, la principale necessità cinese è quella di sincerarsi che l'Italia voglia continuare a cooperare, separando gli affari dalla geopolitica, evitando "colpi di testa" su temi sensibili come Taiwan che potrebbero avere un impatto sulle relazioni bilaterali.

La possibile visita di Meloni a Pechino e l'incognita Berlusconi

Non solo. Wang punta anche all'organizzazione della visita di Meloni a Pechino nei prossimi mesi, magari in occasione del prossimo forum sulla Belt and Road. Data politicamente sensibile, la premier potrebbe anche scegliere di individuare un altro momento meno etichettato ed etichettabile. A convincere Meloni potrebbero esserci anche i discorsi di pace da parte cinese. Non a caso Tajani ha dichiarato a Radio Anch'io che Xi “farà un discorso di pace in occasione del primo anno di guerra”, che ricorre il 24 febbraio prossimo. 

"Ciò che la Cina ha sempre fatto è promuovere la pace e i negoziati", ha dichiarato Wang. "Quanto più complicata è la situazione, tanto più è necessario insistere negli sforzi politici e diplomatici per trovare una soluzione accettabile per tutte le parti". Lasciando implicita la versione cinese secondo cui però, i primi a non volere la pace sarebbero gli Stati Uniti che anzi, nella prospettiva cinese, fomenterebbero il conflitto.

La distensione con la Cina e il possibile prossimo viaggio di Meloni a Pechino nasconondono qualche insidia sul fronte interno per la premier. Dopo i ripetuti incidenti sull'Ucraina per le dichiarazioni di Silvio Berlusconi, per FdI è ancora più importante mandare segnali di affidabilità agli Usa sul fronte asiatico. Berlusconi, che da tempo ha assunto una postura molto ostile a Pechino, potrebbe vedere uno spazio per potenziali critiche.

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