Esteri
Perché la tentazione della confisca dei beni russi potrebbe costare cara all’UE
L’idea di trasformare i 210 miliardi di euro di attivi finanziari russi congelati sul territorio europeo in risorse definitive per Kiev seduce una parte dell’opinione pubblica e diversi governi europei

Beni russi congelati: la sfida giuridica ed economica dell’Unione europea tra diritto, rischio e geopolitica
La questione dell’utilizzo dei beni russi congelati sin dall’inizio della guerra in Ucraina non è più soltanto politica: è diventata, innanzitutto, una questione giuridica ed economica. L’idea di trasformare i 210 miliardi di euro di attivi finanziari russi congelati sul territorio europeo in risorse definitive per Kiev seduce una parte dell’opinione pubblica e diversi governi europei. Ma un’operazione del genere rischierebbe di aprire la strada ad una cascata di contenziosi, di indebolire la certezza del diritto nell’area euro e di innescare reazioni a catena dalle conseguenze potenzialmente gravi.
Confiscare i beni russi: un guadagno immediato… al prezzo di un rischio strutturale per l’Union europea
La confisca appare come una soluzione semplice e attraente: mobilitare decine se non centinaia di miliardi di euro per la ricostruzione e lo sforzo bellico ucraino senza gravare sui bilanci nazionali.In realtà, si tratta di una scommessa ad alto rischio. Il sequestro di beni appartenenti, direttamente o indirettamente, ad uno Stato estero o a persone sanzionate collide con il principio di immunità sovrana e con le garanzie procedurali previste dal diritto europeo.Le conseguenze non si limiterebbero a singoli ricorsi: se la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) dovesse annullare alcune decisioni, la credibilità giuridica e finanziaria dell’intera Unione europea sarebbe messa in discussione.
Il precedente Alexander Pumpyanskiy: un avvertimento per l’Unione europea
La giurisprudenza recente dimostra che il rischio non è teorico. Nel settembre 2025, la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) ha annullato le sanzioni contro l’imprenditore russo Alexander Pumpyanskiy, ritenendo insufficienti i motivi invocati e le prove presentate. La decisione ha aperto la via ad una richiesta di risarcimento già presentata dall’interessato. E questo non è un caso isolato: dal 2014, sono decine i ricorsi individuali contro i regimi sanzionatori che hanno portato ad annullamenti parziali. Con oltre 1.500 persone ed entità ora incluse nelle liste restrittive europee, regolarmente aggiornate dall’inizio del conflitto tra Kiev e Mosca, ogni giudizio favorevole a un ricorrente indebolisce il sistema sanzionatorio nel suo complesso e aumenta i rischi finanziari potenziali per i contribuenti europei.
Congelamento o confisca: una distinzione giuridica cruciale
Per ben capire il problema juridico che si pone, è necessario distinguere due meccanismi spesso confusi nel dibattito pubblico, ma profondamente diversi sul piano giuridico: il congelamento impedisce l’uso, il trasferimento o la dissipazione dei beni senza modificarne la proprietà. Si basa su decisioni del Consiglio adottate all’unanimità e applicabili immediatamente negli Stati membri. La confisca, invece, comporta un trasferimento definitivo di proprietà. Quando riguarda beni detenuti da uno Stato, si scontra direttamente con l’immunità delle banche centrali e la protezione degli attivi sovrani riconosciute dal diritto internazionale. Finora la Commissione europea ha privilegiato soluzioni alternative, evitando quel passaggio di proprietà che rappresenta il nodo del problema. Ma negli ultimi mesi la pressione politica per “fare di più” si è intensificata.
Gli strumenti scelti da Bruxelles per “far pagare” la Russia
Piuttosto che agire sul capitale, Bruxelles ha fino ad ora optato per meccanismi ibridi. Da un lato, l’utilizzo dei proventi generati dagli attivi congelati, autorizzato dal maggio 2024, che ha consentito la realizzazzione un primo trasferimento di 1,5 miliardi di euro all’Ucraina nel luglio 2024. Dall’altro, il progetto di un “prestito di riparazione garantito”, per circa 140 miliardi di euro, destinato a Kiev e garantito dagli attivi russi congelati. Si tratta di un’architettura che punta a sbloccare risorse per la ricostruzione dell’Ucraina senza procedere a una confisca formale, preservando, per quanto possibile, i diritti della Russia in attesa di un’eventuale soluzione definitiva. Questi strumenti riducono, ma non eliminano, il rischio di contenziosi: resta aperta la questione di sapere se un impegno finanziario garantito da beni appartenenti a uno Stato terzo sia compatibile con le immunità sovrane e con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Gli esperti restano divisi.
I rischi economici e geopolitici di una confisca unilaterale
Sul piano macroeconomico, una confisca avrebbe un duplice effetto.Da un lato, indebolirebbe la certezza del diritto che oggi rende attrattiva la piazza europea per i capitali internazionali: Stati e fondi sovrani potrebbero ridurre la loro esposizione verso l’eurozona se non si sentissero più protetti da possibili sequestri arbitrari. Dall’altro, sul piano geopolitico e commerciale, la Russia potrebbe reagire con misure mirate contro le imprese europee ancora attive sul suo territorio, in particolare nei settori dell’energia, dell’agroalimentare e del lusso, con conseguenze potenzialmente pesanti.
Storicamente, le confische massicce approvate da un’autorità internazionale, come la risoluzione 1483 del Consiglio di sicurezza dell’ONU per l’Iraq nel 2003, rappresentano eccezioni. Nel caso russo, l’assenza di un mandato internazionale, dovuta al diritto di veto di Mosca al Consiglio di sicurezza, priva l’Unione europea di tale legittimazione. Eppure, le divisioni all’interno del Consiglio europeo sono evidenti: i Paesi baltici e la Polonia spingono per un trasferimento diretto dei fondi all’Ucraina, mentre Francia, Germania ed altri Stati membri invitano alla prudenza, temendo l’illegalità della misura e il costo politico (ed economico) di eventuali annullamenti giudiziari.
La tentazione del gesto simbolico
La tentazione di un gesto spettacolare è forte e comprensibile, alla luce delle distruzioni subite dall’Ucraina. Ma una confisca mal concepita rischierebbe di ritorcersi contro l’Unione: decisioni annullate, risarcimenti da versare, perdita di credibilità e reazioni negative dei mercati. Nel tentativo di punire Mosca, l’Europa rischierebbe, in ultima analisi, di sanzionare sé stessa.