“Senza la guerra con Hamas, Netanyahu teme il collasso interno: Israele rischia un conflitto civile" - Affaritaliani.it

Esteri

Ultimo aggiornamento: 15:39

“Senza la guerra con Hamas, Netanyahu teme il collasso interno: Israele rischia un conflitto civile"

Intervista all’analista geopolitico Elia Morelli

di Federica Leccese

Qual è il reale obiettivo di Israele? Parla l'analista geopolitico 

A Gaza riprendono i bombardamenti e i valichi per gli aiuti umanitari vengono nuovamente richiusi. Ma cosa sta davvero accadendo sul terreno? Perché quella tregua, tanto celebrata nei giorni scorsi, sembra già fragile e sul punto di crollare? A fare chiarezza su dinamiche, intenzioni e strategie delle parti in conflitto è Elia Morelli, ricercatore di storia presso l’Università di Pisa, analista geopolitico e saggista, che ai microfoni di Affaritaliani, ha svelato i retroscena delle mosse di Netanyahu e Hamas.

Israele ha davvero risposto a un attacco di Hamas a Rafah, oppure ha usato questo episodio come scusa per riprendere i bombardamenti?

“Siamo nel gioco delle narrazioni contrapposte e delle propagande di entrambi i fronti. Da un lato, Israele dice di avere identificato diversi terroristi armati, accusati di aver superato questa “linea gialla”, che è una linea di demarcazione dietro alla quale è situato e dispiegato l'esercito israeliano — che continua a essere presente almeno nel 53% della Striscia di Gaza. Dall'altra parte, invece, Hamas accusa Israele di aver bombardato dei civili che avevano inavvertitamente superato quella stessa linea di demarcazione.

Dunque siamo nel gioco delle narrazioni contrapposte ed è difficile, da questo punto di vista, comprendere dove stia la verità. È altrettanto vero che per Israele l'obiettivo prioritario è quello di rafforzare quel 53% della Striscia di Gaza sotto il controllo dell'esercito israeliano, per poi magari, domani, riprendere un'offensiva più forte per accaparrarsi il resto del territorio della Striscia di Gaza, così da assecondare la volontà dei membri più estremisti all'interno del governo Netanyahu”.

Hamas afferma di colpire “bande criminali armate e finanziate da Israele” per proteggere i civili palestinesi. È vero? Quanto è strategica questa narrazione e a chi è diretta?

“Intanto, all'interno del fronte palestinese ci sono più fazioni, divise in clan e tribù, che hanno ripreso a spararsi addosso. Effettivamente Israele ha finanziato negli ultimi mesi delle bande all'interno della Striscia di Gaza, le quali operavano in funzione anti‑Hamas, tra cui soprattutto una formazione paramilitare guidata da Abu Shabab, soprannominato da Hamas “il predone degli aiuti umanitari” — ovvero un ladro, un trafficante fuggito di prigione con il consenso di Israele — che rappresenta una pericolosa quinta colonna all'interno della Striscia di Gaza proprio contro Hamas.

Ma questo rientra in una storica tattica orchestrata da Israele e dallo stesso Netanyahu, che a partire già dal 2006–2007 aveva dato avvio a una strategia spregiudicata: firmò una sorta di patto non scritto con Hamas nell'intento di contrastare l'Autorità nazionale palestinese, perpetuando consapevolmente le spaccature all'interno dei due fronti, cioè tra Gaza e Cisgiordania.

Prima, tra l'altro, consentì il trasferimento di diversi milioni di euro dal Qatar diretti a Hamas e ad altre formazioni palestinesi, così da alimentare lo scontro intestino; poi, soprattutto, Netanyahu aveva apertamente dichiarato che il suo obiettivo era quello di impedire l'opzione dei due Stati, e quindi aveva fatto di Hamas, in un certo senso, il suo partner più stretto, ma anche di altre formazioni definite in funzione anti‑Hamas. Dunque, finanziava diverse formazioni paramilitari palestinesi per mettere una contro l'altra al fine di indebolire il nemico e, di conseguenza, evitare che una comunità palestinese unita e compatta potesse rivendicare le sue legittime ambizioni nazionali”.

Con la richiesta di Ben‑Gvir di riprendere la guerra e la pressione degli Stati Uniti per una risposta “proporzionata”, quanto è fragile l’equilibrio politico all’interno del governo israeliano e quali scenari possiamo aspettarci nei prossimi giorni?

“L’equilibrio interno a Israele effettivamente è molto debole perché ci sono diverse opinioni, intanto all'interno degli apparati militari. Se da un lato abbiamo Eyal Zamir, che è il capo di Stato Maggiore e che ha più volte messo in guardia la classe dirigente israeliana dal proseguire il conflitto all'interno della Striscia di Gaza — perché, a fronte della stanchezza dei militari e soprattutto dei riservisti, l'esercito israeliano poteva andare incontro a numerose difficoltà — dall'altra parte invece abbiamo, per esempio, il capo dello Shin Bet, cioè dei servizi segreti interni israeliani David Zini, che è un fanatico, una figura mista religiosa convinta che i palestinesi siano una minaccia esistenziale e un nemico divino; quindi, secondo la sua opinione, è bene riprendere la martellante campagna bellica proprio per cercare di eradicare il problema terroristico rappresentato non solo da Hamas ma, in senso esteso, dall'intera popolazione palestinese residente all’interno della Striscia di Gaza.

Ora, queste divergenze di opinioni all'interno degli apparati militari si rivelano plasticamente anche dal punto di vista politico, perché il governo Netanyahu si regge in maniera importante su figure come Itamar Ben‑Gvir, ma anche su Bezalel Smotrich, il ministro delle Finanze nonché leader del partito sionista religioso, per i quali è importante trasferire forzatamente la popolazione palestinese fuori dalla Striscia di Gaza. Per loro, Gaza deve essere occupata militarmente da Israele e, soprattutto, reinsediata dalla popolazione ebraica: l'obiettivo dei sionisti religiosi è quello di avere la terra di Israele direttamente sotto il controllo del popolo ebraico”.

Quanto stanno influenzando le pressioni interne al governo israeliano — come quelle del ministro Ben‑Gvir — le scelte militari di Netanyahu? Sta decidendo per motivi di sicurezza o per non perdere il sostegno della sua coalizione?

“Sono entrambe le cose. Intanto è importante ricordare che gli Stati Uniti giocano un ruolo rilevante, dal momento che Israele dipende in maniera massiccia dai finanziamenti, sia in termini economici sia in termini militari, provenienti da Washington: dal 1959 a oggi gli USA hanno investito cifre rilevanti nel finanziare direttamente Israele e nel portare avanti la modernizzazione della macchina militare israeliana, che è all'avanguardia e garantisce a Israele la supremazia tecnologica e militare nel conflitto.

Per quanto riguarda il governo Netanyahu, senz'altro da un lato c'è una necessità di natura securitaria e bellica, e dall'altra parte ovviamente deve assecondare le richieste che provengono dalle frange più estremiste e conservatrici del sionismo religioso. Quindi l'obiettivo prioritario è cercare di moderare le pressioni provenienti da Washington, ma dall'altra parte Netanyahu sa perfettamente che le richieste del sionismo religioso devono essere assecondate, perché sono loro che tengono insieme il fronte interno.

Continuare o riprendere, nel caso, la campagna bellica è di fondamentale importanza strategica per avere un nemico comune che compatti il fronte interno; altrimenti, finito il nemico comune e la missione bellica, rivolgersi all'interno delle mura domestiche israeliane potrebbe significare soprattutto per il governo Netanyahu affrontare le aporie e le disfunzionalità strutturali della società israeliana, che già nel 2023 — e quindi prima del 7 ottobre — era a rischio guerra civile”.

Perché queste frange estremiste vogliono continuare la guerra? Solo per distruggere Hamas oppure c'è qualcos'altro dietro?

“L’obiettivo principale è sicuramente quello di riportare la terra di Israele direttamente al popolo ebraico, corroborando il disegno sacralizzato secondo il quale a quel popolo sarebbe stata garantita la terra promessa. C'è senz'altro una visione mitopoietica, sacrale e religiosa; dall'altra parte, più concretamente, c'è  un obiettivo chiaramente di natura colonialista, imperialista e razzista: prendersi direttamente un territorio in cui sono insediati altri, considerati dei subumani — almeno nella retorica truculenta delle frange più estremiste al potere”.

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