Esteri
Trump e Netanyahu mai così lontani. Bibi è pronto ad attaccare l'Iran?
Gli Stati Uniti sono davvero disposti a farsi coinvolgere in quella che rischierebbe di essere una mostruosa guerra regionale?

Guerra Israele, Trump e Netanyahu mai così lontani
Israele vede come fumo negli occhi un accordo Usa-Iran. Il premier Netanyahu teme che possa compromettere la sicurezza dello Stato ebraico. Ma Trump vuole un’intesa che possa aprire ad ulteriori situazioni, che trova l'apprezzamento del Golfo. Per far saltare il banco, Bibi potrebbe attaccare l'Iran, innescando una pericolosissima e delicata escalation.
C’è una fase complicatissima che riguarda l’Iran, Israele e Stati Uniti, ma che, di fatto, riguarda tutto il mondo, a cominciare dalla regione strategica in cui l’Italia proietta in modo prioritario le proprie iniziative di politica internazionale: il Medio Oriente e il Nordafrica.
Il governo israeliano, guidato da Benjamin Netanyahu potrebbe essere pronto a lanciare un attacco preventivo contro le infrastrutture nucleari iraniane, proprio mentre l’amministrazione statunitense di Donald Trump sta per raggiungere un accordo preliminare per il controllo dell’arricchimento di materiale atomico con Teheran.
Una spifferata dell’intelligence americana è arrivata al New York Times del 27 maggio, dando un chiaro segnale: dalle informazioni pubblicate si legge che Netanyahu sta lavorando per far saltare i negoziati tra Usa e Iran, arrivati al quinto incontro, in due mesi. Il Presidente è interessato a creare rapporti di interesse bilaterale con Teheran per un rapporto positivo nell'area, ma allo stesso tempo si è stancato della rigidità del governo israeliano, che vene nella catastrofica situazione umanitaria di Gaza un punto di non ritorno, una disumana e inaccettabile pulizia etnica, soprattutto di bambini, che la Superpotenza non è riuscita ad attenuare per la netta opposizione del Likud del presidente.
Per Israele, l’accordo è, innanzitutto, un’opposizione ideologica. La Repubblica islamica è considerata, in parte a ragione, come la causa di tante istanze armate e d'intelligence, che teorizzano la distruzione dello Stato ebraico con posizioni antisemite. Netanyahu sta conducendo da due anni il conflitto contro Hamas, seguito alla dichiarazione di guerra palestinese, dopo l’attentato del 7 ottobre. Nonostante molte vittorie, il dato oggettivo, ad oggi, è che non sta raggiungendo risultati definitivi.
La Striscia di Gaza è stata distrutta, mentre le persone che ancora ci vivono sono vittime di condizioni di vita drammatiche, volute dal governo israeliano e, ormai oggetto di scandalo per tutto il resto del mondo. La Comunità internazionale ha, da tempo, esaurito pazienza e giustificazioni con Israele, che arriva ad impedire i canali umanitari di soccorso. Ora Netanyahu, sempre più isolato, appare a molti osservatori come al suo del canto del cigno, che, purtroppo, potrebbe rivelarsi particolarmente violento, scatenando reazioni molto rischiose da parte del mondo arabo e dei suoi storici alleati.
La continuazione della guerra potrebbe essere fondamentale per la sopravvivenza politica del premier. I partiti estremisti che gli danno la maggioranza di governo non accettano alcun genere di compromesso, né con Hamas né con l’Iran. La popolazione lo accusa di non aver riportato a casa gli ostaggi del 7 ottobre; le sue pendenze penali potrebbero mandarlo alla sbarra, se il governo cadesse; "la sua eredità, dopo 20 anni di azione politica e di governo, sarebbe macchiata dal più grosso fallimento di sicurezza israeliano e dall’incapacità di aver risolto la reale, enorme problematica securitaria attorno allo Stato ebraico" - sostiene Formiche.net.
D'altro canto, i funzionari dell’intelligence statunitense hanno dichiarato di essere particolarmente dubbiosi dell’efficacia di un attacco da parte di Israele. Stante le informazioni, i funzionari israeliani ritengono, però, che gli Stati Uniti non avrebbero altra scelta che fornire assistenza al loro storico alleato, se Teheran dovesse reagire. Quindi sono convinti che un attacco potrebbe essere effettuato anche se venisse raggiunto un accordo nucleare tra Stati Uniti e Iran. Gli Stati Uniti di Trump sono davvero disposti a farsi coinvolgere in quella che rischierebbe di essere una mostruosa guerra regionale?
Trump ha riferito alla stampa, riunita nello Studio Ovale, di aver dissuaso Netanyahu da un attacco all'Iran: “gli ho detto che sarebbe stato inappropriato farlo ora, perché siamo molto vicini a una soluzione”. Poi ha ammesso che “la situazione potrebbe cambiare da un momento all’altro”, ma la linea era chiarissima sin da quell' avvertimento della scorsa settimana di cui parla Trump, che è avvenuto durante una telefonata tra i due leader, che è raccontata come “infuocata” dai collaboratori del tycoon.
"Gli Stati Uniti e l’Iran sono vicini a un piccolo accordo iniziale, che servirà da base per negoziati successivi più intensi. Gli Usa non stanno lavorando ad alcuna implementazione: niente programma missilistico, niente discussione su come gestire i proxy che da anni hanno destabilizzato la regione (tra questi Hezbollah, Houthi, milizie sciite irachene ed entità come Hamas, che, sebbene più indipendenti ricevono aiuto da Teheran per le loro attività anti-israeliane)" - riferisce sempre il ben documentato Formiche.net.
I colloqui sono giunti all'eventuale possibilità dello sviluppo di missili balistici iraniani, ma questo non sarà fattibile, spiegano fonti diplomatiche, perché Trump vuole un risultato immediato. D’altronde è stato lo stesso negoziatore Steve Witkoff a suggerire, all‘inizio di maggio, che argomenti diversi dal nucleare sarebbero stati “secondari”.
“Non vogliamo confondere la discussione nucleare perché per noi è una questione esistenziale”, aveva spiegato in un’intervista al media alt-right Breitbart. Dopo l’ultimo round di colloqui a Roma, le due parti stanno progettando di incontrarsi di nuovo, a breve, molto probabilmente in Oman.
Questa traiettoria è apprezzata dai paesi del Golfo, che hanno normalizzato le relazioni con l’Iran e messo in discussione quelle con Israele, nonostante gli Accordi di Abramo e un riavvicinamento generale siano parte di obiettivi strategici che travalicano il dramma di Gaza, che non può essere ignorato dalla narrazione delle grandi capitali sunnite. La posizione degli alleati mediorientali dà ulteriore convinzione, sul piano dei riflessi regionali, alla linea che Trump sta percorrendo con l’Iran e crea maggiore preoccupazione a Tel Aviv.
Mentre Iran e Usa stavano parlando presso la residenza dell’ambasciatore omanita a Roma, il ministro israeliano per gli Affari Strategici, Ron Dermer, e il capo del Mossad, David Barnea, hanno incontrato Witkoff nella capitale italiana. Lunedì si sono recati a Washington per incontrare il direttore della Cia, John Ratcliffe. Dermer avrebbe incontrato nuovamente Witkoff martedì scorso, sebbene l’argomento di questo incontro non sia noto, e i media ebraici l’hanno collegato ai tentativi di raggiungere un accordo per la liberazione di alcuni ostaggi.
Successivamente di è creata una situazione di stallo, in cui Trump e Netanyahu hanno mantenuto le loro differenti posizioni. Un attacco di Israele all'Iran non è ancora avvenuto, e questo fa sperare che vi siano elementi di discussione che possano non esser stati resi pubblici, ma che per il momento non includano l'escalation.