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Politica agricola Ue, trovata l'intesa. Ira ambientalisti: "È greenwashing"

Quasi 400 miliardi di euro, più del 30% del bilancio comunitario: è questa la "fetta" che l'Unione europea destina alla Pac, la politica agricola comune, uno degli strumenti cruciali ed essenziali per rafforzare la politica climatica, raggiungere gli obiettivi di neutralità carbonica, salvaguardare la salute degli ecosistemi e limitare gli impatti su biodiversità e territorio. Obiettivi tanto complessi quanto urgenti, che nelle ultime settimane hanno trovato terreno fertile di dibattito: dal G7 in Cornovaglia al Vertice Nato di Bruxelles, tutti i leader politici hanno sottolineato la necessità di un cambio di passo concreto. Così dopo tre anni di attesa, anche la riforma sulla politica agricola comune sembra arrivata a un punto di svolta. In settimana sarà atteso il vaglio del Consiglio dei ministri dell'Agricoltura, e solo dopo l'estate l'ultimo step: l'approvazione dalla Commissione Agricoltura del Parlamento.

A monte, l'obiettivo della riforma era chiaro: trovare le giuste condizioni per incentivare un'agricoltura comunitaria più verde. Ma nonostante l'euforia di alcuni annunci, "mi riempie di grande soddisfazione poter affermare che ce l'abbiamo fatta! Su alcuni punti avremmo potuto desiderare un risultato diverso, ma nel complesso penso che possiamo essere soddisfatti dell'accordo che abbiamo raggiunto", ha commentato il commissario europeo all'Agricoltura, Janusz Wojciechowski, alcune fette del mondo politico e delle associazioni ambientaliste si dicono scontente del risultato.

Tra le accuse e i punti di debolezza sottolineati: una riforma ancorata agli "errori" del passato, slegata dagli obiettivi del Green Deal europeo, poca ambiziosa e noncurante delle esigenze climatiche. Secondo infatti una relazione pubblicata in settimana dalla Corte dei Conti europea, la vecchia Pac, operativa dal 2014 al 2020, dal punto di vista ambientale si è rivelata un completo disastro. Nonostante gli oltre 100 miliardi di euro di finanziamenti investiti nel settore, per contrastare l'azione climatica, le emissioni di anidride carbonica legate al settore non sono calate. Paradossalmente, c'è stato un aumento dei gas collegati all'allevamento, fertilizzanti chimici e concimi. 

A oggi, con l'approvazione della nuova intesa politica sui tre atti legislativi europei che disciplineranno la politica agricola dell'Ue per il periodo 2023-2027, che cosa cambia di fatto? Durante i negoziati si è parlato di: condizionalità sociale, ecoschemi, condizioni agronomiche e ambientali e sussidi. Condizionalità sociale: gli eurodeputati hanno insistito per proteggere i diritti dei lavoratori agricoli in modo più robusto, introducendo un meccanismo per collegare gli ispettori del lavoro nazionali con gli organismi pagatori della Pac, al fine di sanzionare le violazioni delle norme europee sul lavoro. Dal 2023 al 2025, secondo la proposta di riforma, l’applicazione della condizionalità sociale è solo volontaria. Diventerà obbligatoria dal 2025. Ecoschemi: si tratta di quella parte dei pagamenti diretti, vincolata a pratiche agricole ecologiche. Se inizialmente il Parlamento voleva una quota del 30% e il Consiglio non frenava per il superamento del 18%, gli eurodeputati sono riusciti a strappare un buon 25%, con un periodo di transizione di due anni e un tetto minimo  del 20%. 

Condizioni agronomiche e ambientali: un aspetto cruciale che riguarda essenzialmente il livello minimo di manutenzione dei suoli non produttivi, protezione e gestione delle acque, erosione del suolo, sostanza organica del suolo, struttura del suolo. Si tratta di standard che influiscono sul raggiungimento degli standard climatici e l'impatto sulla biodiversità. Su questo capitolo- riporta il sito Rinnovabili.it- il Consiglio è riuscito a strappare condizioni più flessibili, come su altri punti in questo ambito: tutte variazioni che indeboliscono l’ambizione climatica della riforma. Sussidi: il Consiglio ha vinto invece sulla questione dei tetti di pagamento. Le grandi aziende agricole, solitamente meno sostenibili, potranno ricevere aiuti economici senza nessun limite. Nella vecchia Pac il tetto massimo era dell'80%. Mentre per le piccole realtà è prevista una redistribuzione del 10%, contro il 20% pattuito in precedenza. Infine, secondo la riforma, non c'è l'obbligo da parte della Pac di allinearsi al Green Deal e di adottare un meccanismo per monitorare la responsabilità degli Stati sul fronte ambientale. 

Come anticipato, le prese di posizioni giunte dal mondo politico e ambientalista riguardo alla riforma sono contrastanti. Paolo De Castro, coordinatore del Gruppo Socialisti e Democratici alla commissione Agricoltura del Parlamento europeo, riportano i giornalisti di Euroactiv, ha affermato che "grazie al nostro lavoro di questi mesi, siamo riusciti a salvaguardarne la dimensione comune, evitando distorsioni di concorrenza tra agricoltori di differenti Stati membri. Abbiamo rimesso al centro il ruolo delle regioni, che continueranno a essere un attore principale nella redazione dei Piani strategici nazionali". "Abbiamo finalmente inserito il terzo pilastro della politica agricola – ha rivendicato De Castro – quello sociale: d’ora in poi la Pac non finanzierà più gli agricoltori che non rispettino i diritti dei propri dipendenti, ponendo fine alla concorrenza sleale verso la stragrande maggioranza degli imprenditori che invece si prende debitamente cura dei lavoratori”.

Anche per Coldiretti la riforma è un “segnale positivo”. "Per il futuro auspichiamo- ha dichiarato il presidente Ettore Prandini – un atteggiamento coraggioso su alcuni elementi chiave, in primis il dibattito relativo alle restrizioni alle importazioni: sarebbe importante che nella riforma della Pac fosse riconosciuto il principio della reciprocità degli standard, vietando l’ingresso nell’Unione di prodotti che non rispettino gli standard intesi come criteri di produzione Ue come pure i limiti di tolleranza per i pesticidi presenti sui prodotti importati”.

Mentre per la delegazione italiana dei Greens/Efa composta da Eleonora Evi, Rosa D’Amato, Ignazio Corrao e Piernicola Pedicini "l’accordo raggiunto da Parlamento europeo e presidenza portoghese del Consiglio, con la mediazione della Commissione Ue, sulla riforma della politica agricola comune, rappresenta una vera e propria minaccia per il Green Deal europeo e un regalo alla lobby dell’agribusiness". "Riteniamo che la riforma frutto dell’accordo tra le tre istituzioni europee confermi le distorsioni della Pacattuale, premiando un modello di agricoltura industriale, che si basa su monoculture, allevamenti intensivi, uso di pesticidi e fertilizzanti sintetici, a discapito dei piccoli agricoltori, che continueranno inesorabilmente a scomparire, e di chi adotta un modello di agricoltura virtuoso, che rispetta la natura e la salute pubblica", si legge nella nota. "L’Unione europea, dopo mesi di buoni propositi, dimostra purtroppo di non saper andare oltre gli slogan e di non aver il coraggio di compiere scelte decisive per invertire la rotta dell’attuale crisi climatica e di biodiversità”, sostengono gli eurodeputati dei Verdi. 

Sulla stessa scia anche il fronte ambientalista. “È molto grave che l’accordo raggiunto non tenga conto né degli avvertimenti della scienza, né delle richieste dei piccoli agricoltori, e nemmeno del parere della stessa Corte dei Conti europea, che afferma con chiarezza come negli ultimi dieci anni la Pac abbia fallito nel proteggere la biodiversità e nel contrastare i cambiamenti climatici, mentre i sussidi vengono erogati principalmente alle aziende più grandi, lasciando in difficoltà le piccole”, ha dichiara to Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. “Questo accordo segna una continuità rispetto al passato, a partire dal finanziamento del sistema degli allevamenti intensivi che, anche a detta della stessa Corte dei Conti, dovrebbe essere orientato a una progressiva diminuzione delle consistenze zootecniche accompagnato da politiche che incoraggino l’adozione di diete a base principalmente vegetale” – ha sottolineato Ferrario -. “Se la versione finale rimarrà questa, sarà ancora più importante avere un piano strategico nazionale ambizioso dal punto di vista ambientale e sociale, richiesta che rinnoviamo al ministro Patuanelli”, ha concluso la responsabile campagna agricoltura di Greenpeace Italia. 

 

 

 

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