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Lavoro
Licenziamento legittimo anche con rifiuto della lettera
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E’ legittimo e produce effetti il licenziamento anche se il lavoratore si è rifiutato di riceverlo. Una successiva raccomandata non costituisce prova della mancata comunicazione precedente, ma una cautela del datore. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 22717/2015 così si è espressa in merito alla vicenda che ha visto coinvolto un lavoratore che si era rifiutato di ricevere la consegna a mano della lettera di licenziamento. Il primo principio confermato dalla Cassazione consiste nel fatto che, fermo restando l’onere della prova a carico del datore di lavoro della comminazione per iscritto del licenziamento, la consegna a mano e il rifiuto del lavoratore di sottoscrivere per ricevuta, ben possono formare oggetto di prova testimoniale.

Secondo un principio fondamentale del nostro ordinamento, afferma anche la Corte, desumibile dalle norme sulla mora credendi, nonché dall'art. 1335 cc (presunzione di conoscenza) e dall'art. 138 cpc (copia nelle mani del destinatario), il rifiuto di una prestazione da parte del destinatario non può risolversi a danno dell'obbligato, inficiandone l'adempimento. Tale principio si coniuga, nell'ambito del rapporto di lavoro, con l'obbligo del lavoratore di ricevere comunicazioni, anche formali, sul posto di lavoro e durante l'orario di lavoro, in dipendenza del potere direttivo e disciplinare al quale è sottoposto. In conseguenza di ciò, è stato dalla Corte di Cassazione già da tempo affermato che il rifiuto da parte del lavoratore di ricevere l'atto scritto di licenziamento non impedisce il perfezionarsi della relativa comunicazione (Cass. 12 novembre 1999, n. 12571; Cass. 5 novembre 2007 n. 23061; 3 novembre 2008 n. 26390; Cass. 18 settembre 2009, n. 20272; Cass. 25 marzo 2013, n. 7390).
La Corte territoriale, già in precedenza aveva fatto derivare dall'accertato rifiuto di ricevere la lettera di licenziamento da parte del lavoratore, l'avvenuta comunicazione del provvedimento del datore di lavoro, il che implica la conoscenza dell'atto nella sua integralità ivi compresa la sua motivazione. La Cassazione rileva la correttezza di questo atto. Rispetto alla presunzione di avvenuta conoscenza, inoltre, è del tutto irrilevante il successivo invio da parte del datore di lavoro di formale raccomandata, essendo lo stesso ascrivibile ad una ulteriore cautela adottata dall'azienda, non certo idoneo a fornire argomento di prova della mancata precedente comunicazione.

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