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Roma, 16 mar. (Labitalia) - Era "un sincero riformista", come sempre ha sostenuto l'allievo e il collaboratore più fidato, Michele Tiraboschi. Il 'sincero riformista' era Marco Biagi, professore di Diritto del lavoro, consulente del ministro del Welfare, Roberto Maroni, e del presidente della Commissione europea, Romano Prodi, ucciso dalle Brigate rosse la sera del 19 marzo 2002, raggiunto da cinque colpi d’arma da fuoco, mentre faceva rientro nella propria abitazione nel centro storico di Bologna, a pochi passi dalle Due Torri. "Ci eravamo da poco salutati, alla stazione dei treni di Bologna, di ritorno da una normale giornata di lavoro trascorsa presso il nostro centro studi modenese", ricorda Tiraboschi nel suo libro 'Morte di un riformista'. Con quella manciata di proiettili finiva così prematuramente (Biagi aveva solo 52 anni) una vita e tutto quello straordinario impegno di studio e di ricerca che Marco Biagi, aveva dedicato a uno dei temi più spinosi per il nostro Paese: il lavoro. Voleva, Biagi, un mercato del lavoro più moderno, più inclusivo, voleva dare più spazio ai giovani e alle donne, ai gruppi che ne rimangono esclusi.E soprattutto voleva un mercato europeo: una caratteristica fondamentale, anzi il filo conduttore principale dell'opera di Marco Biagi, è stato infatti l'impegno nella comparazione e l'attenzione interdisciplinare coltivata con cultori di esperienze diverse. Perché al centro del mercato del lavoro, per Biagi, c'erano innanzitutto, le esigenze dell'impresa e il valore della persona. A partire dagli anni Novanta, Biagi, iniziò a collaborare con le istituzioni politiche, prima la Commissione europea, poi il governo. Fu consulente di diversi esecutivi, a prescindere dal colore politico: collaborò con i ministri del Lavoro Tiziano Treu, Antonio Bassolino e Roberto Maroni. Nel 2001, mentre con il governo Berlusconi era impegnato a elaborare una bozza di riforma del mercato del lavoro ('Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia. Proposte per una società attiva e per un lavoro di qualità'), Biagi fu chiamato da Romano Prodi a occuparsi del futuro delle relazioni industriali, in un gruppo di studio istituito dalla Commissione europea.Per la sua grande esperienza maturata sul campo del diritto del lavoro comparato, Biagi era molto conosciuto anche in Cina e in Giappone. La sua idea fissa era il 'benchmarking', una metodologia di studio basata sulla comparazione anche internazionale, nata in un contesto strettamente industriale, come metodo per migliorare la competitività delle imprese. Biagi, in maniera pionieristica, applicò l'esercizio del 'benchmarking', a 360 gradi, cominciando ad estenderlo anche alle politiche del lavoro in Europa e in Italia.Fondatore di AdaptNel 1991 Biagi fondò, presso il Dipartimento di Economia aziendale dell'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, il Centro studi internazionali e comparati, inaugurando un modello innovativo di ricerca nel campo del lavoro e delle relazioni industriali. E' presso il Centro che nel 2000 comincia a stabilizzarsi il suo gruppo di giovani ricercatori e collaboratori, tra cui emerge Michele Tiraboschi. Da quell'esperienza e da quell'intuizione di Biagi, di un modo nuovo di "fare università", nascerà nel 2000 anche Adapt, un'associazione senza fini di lucro, che oggi è diventata un sofisticato network fatto di dottori di ricerca (gli Alumni di Adapt), 3 scuole di dottorato (Bergamo, Bari e Modena), 3 sedi (Modena, Roma, Bergamo), 40 tra ricercatori, e collaboratori, e circa 27.000 persone iscritte ai bollettini che vengono pubblicati in italiano, inglese e spagnolo. Non è un caso che, al centro dell'elaborazione di Biagi, si collochi la modernizzazione del mercato del lavoro; così come non è un caso che proprio dall’analisi del mercato del lavoro prendeva le mosse il “libro bianco” dell’ottobre 2001, nella cui stesura Biagi ebbe un ruolo di assoluto protagonista e nel quale ha trovato espressione - sotto forma di proposte aperte alla discussione - il suo progetto organico di riforma. L’idea di Biagi di modernizzare il diritto del lavoro, allineandolo allo standard europeo, era a tutto campo: riguardava il mercato del lavoro, i contratti formativi, gli strumenti della flessibilità, gli ammortizzatori sociali, la tipologia (e regolazione) dei nuovi lavori, le politiche per favorire il reinserimento lavorativo della donna.Un progetto, che oggi a distanza di molti anni, possiamo dire sicuramente non compreso fino in fondo nella sua portata innovativa, tanto che si scatenò contro Biagi un clima ostile, perchè il professore che aveva fatto del dialogo il suo faro , fu accusato di operare per la riduzione delle tutele e per la precarizzazione. E anche la riforma che il Governo presento al Parlamento dopo la sua morte, costituita da un insieme complesso ed articolato di regole, recepiva solo in parte la visione di Biagi, perché mancava (e manca tuttora, anche se qualche piccolo modifica qua e là è stata fatta) la parte fondamentale relativa alle protezioni sociali e all'accompagnamento del lavoratore da un posto all'altro. Era consapevole di essere un bersaglio del terrorismoTiraboschi nel suo libro, ricorda che "diversamente da quanto successo solo tre anni prima con l’assassinio del professor Massimo D’Antona – stesso incarico ministeriale, stessa fama di giurista progettuale e riformista appartenente alla 'generazione di mezzo'– l’attentato terroristico a Marco Biagi era chiaramente prevedibile e preannunciato". Biagi aveva anche una scorta assegnata nel luglio del 2000, poco dopo la firma a Milano di un innovativo patto sul lavoro, da lui ideato e sostenuto nel confronto con le associazioni imprenditoriali e le organizzazioni sindacali, che prima gli fu tolta e poi definitivamente negata. Lui stesso, dice ancora Tiraboschi, era consapevole di essere un possibile bersaglio del terrorismo. Come a Massimo D'Antona, anch'esso ucciso dalle Nuove Brigate Rosse nel 1999, le idee riformiste costarono la vita a Biagi, che fu giustiziato mentre rientrava a casa in bicicletta. Nella rivendicazione diffusa dopo l'omicidio, il professore veniva indicato come "ideatore e promotore delle linee e delle formulazioni legislative di un progetto di rimodellazione della regolazione dello sfruttamento del lavoro salariato, e di ridefinizione tanto delle relazioni neocorporative tra esecutivo, Confindustria e sindacato confederale, quanto della funzione della negoziazione neocorporativa in rapporto al nuovo modello di democrazia rappresentativa". Per l'omicidio di Biagi, ucciso con la stessa arma utilizzata per il delitto di D'Antona, sono stati condannati all'ergastolo i brigatisti Diana Blefari Melazzi (suicidatasi in carcere nel 2009), Roberto Morandi, Nadia Desdemona Lioce e Marco Mezzasalma, mentre a Simone Boccaccini furono riconosciute le attenuanti generiche e la pena fu ridotta a 21 anni di reclusione. La Corte di Cassazione nel 2007 confermò la sentenza di secondo grado. Il ricordo di Pietro Ichino: 'Scrissi piangendo l'editoriale per il Corriere'"Fra un anno saranno venti da quel 19 marzo. E sembra ieri: la telefonata del direttore del 'Corriere della Sera' sconvolto, che alle otto di sera mi chiede, anzi, mi impone, mostrandomi io molto riluttante, di scrivere entro due ore un commento adeguato all’enormità dell’evento. Ricordo che lo scrissi piangendo". E' commosso il ricordo che Pietro Ichino, giuslavorista come Marco Biagi, affida ad Adnkronos/Labitalia, all'avvicinarsi dell'anniversario del barbaro assassino del professore di Bologna, avvenuto il 19 marzo 2002. "Piangevo di dolore -ricorda ancora Ichino- non solo per l’amico carissimo con cui avevo condiviso strettamente fino a quel giorno sia l’impegno didattico in università sia quello editoriale, ma anche e forse ancora di più per l’abisso di barbarie che stava travolgendo il nostro Paese a causa della drammatizzazione insensata di una questione di politica del lavoro". "Tre anni prima era stato assassinato Massimo D’Antona, reo di collaborare con il ministro dei Trasporti nel tentativo di mettere ordine nelle relazioni sindacali del settore del trasporto aereo che parevano impazzite. Sia pure in modo diverso, ciascuno con il suo patrimonio politico-culturale, ciascuno nel campo in cui gli era stato chiesto di collaborare con il Governo, entrambi si proponevano di riallineare il nostro Paese rispetto a uno standard di civiltà del lavoro europeo. Ma in Italia c’è chi questo lo considera un abominio. Ancora oggi. Anche se, per fortuna, oggi nessuno ritiene più che si tratti di un delitto per il quale debba applicarsi la pena di morte", conclude Ichino.L'allievo Tiraboschi, '20 anni fa parlava già di sostenibilità del lavoro e dell'economia'"Venti anni fa Marco Biagi, a commento di un rapporto del gruppo di alto livello sul futuro delle relazioni industriali, gruppo istituto dalla Commissione europea e di cui faceva parte, parlava già di sostenibilità del lavoro e dei processi economici e produttivi. Marco ha anticipato i tempi e ha visto lontano". Così Michele Tiraboschi, giuslavorista che di Biagi è stato l'allievo e collaboratore più vicino e che, giovanissimo, ha sostenuto l'onere di occupare la cattedra di Biagi (Diritto del lavoro) all’Università di Modena e Reggio Emilia, sottolinea con Adnkronos/Labitalia l'attualità del pensiero del professore assassinato dalle Br sotto casa il 19 marzo del 2002. "I fatti oggi -prosegue Tiraboschi- gli danno ragione. Resta ancora una ricchezza progettuale e di visione che farebbe molto comodo rivisitare oggi in questa fase di incertezza e di pianificazione del futuro del nostro Paese. Resta soprattutto la gratitudine personale e l'affetto che è un sentimento radicato nelle persone che lo hanno compiuto con lui un tratto di strada e che gli hanno voluto bene", conclude. (di Mariangela Pani)





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