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Roma, 28 nov. (Adnkronos/Labitalia) - “Dobbiamo distinguere i processi quando parliamo di digitalizzazione dei beni culturali, perché questa può influire su tanti processi. Quello su cui siamo più indietro sono propri i servizi più propriamente organizzativi che le istituzioni culturali offrono al cliente. Prendiamo l’online ticketing: ormai siamo tutti abituato a comprare on line e la pandemia ci ha spinto ancora di più a organizzarci in anticipo, a prenotare e acquistare on line dal biglietto del cinema al posto allo sportello Asl”. Così Eleonora Lorenzini, direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali della School of Management del Politecnico di Milano, parla con Adnkronos/Labitalia dello stato dell’arte del processo di digitalizzazione di musei e aree archeologiche nel nostro Paese, che con il Pnrr avrà una spinta notevole.“Prima della pandemia -ricorda Lorenzini- avevamo solo un 23% di musei e aree archeologiche in grado di offrire l’e-ticketing: con la pandemia la percentuale è diventata del 39%. Un balzo notevole, certo. Ma questo vuol dire che c’è ancora un 61% di istituzioni che non permette di comprare il biglietto on line. Vuol dire che le istituzioni non sono pronte. Questo è primo lavoro da fare che vedo per le istituzioni culturali: quello sul servizio di base agli utenti, che va reso più accessibile anche perché da noi siti e musei sono diffusi nei piccoli borghi e magari uno prima di mettersi in partenza vuole essere certo di trovare il museo aperto e potervi accedere”. Per Lorenzini, questo è “il livello base”, ma poi si sale e “c’è il livello 1: che è quello offrire un servizio culturale digitale di qualità”. In questi due anni di pandemia, ricorda, “i musei hanno cercato di offrire servizi on line, ricorrendo al digitale per fare arrivare il servizio culturale vero e proprio: si sono moltiplicati i tentativi di laboratori, attività didattiche, tour e visite guidate, ma anche workshop divulgativi, ossia di mettere on line l’offerta culturale”.Uno sforzo positivo certo ma con alcune criticità da superare. “Vanno sottolineati -dice Lorenzini- due aspetti: da un lato, è stato un tentativo emergenziale, con i pro e i contro del momento e con tante attività non all’altezza. Durante l’emergenza, certe cose vanno bene, ma se si vuole continuare a erogare contenuti on line, poi bisogna strutturarsi, soprattutto se lo si vuol fare a pagamento perché, lo sappiamo, risorse non sono infinite. Bisogna acquisire le professionalità giuste, capire quali sono. Faccio un esempio: fare didattica museale on line è molto diverso dal farlo in presenza. Questo è un ambito di lavoro molto forte e deve essere una scelta strategica, e bisogna pianificare l’attività che porta l’istituto culturale a offrire quel servizio in maniera adeguata”.Quello dell’aggiornamento delle competenze del personale che lavora nei musei è un problema da affrontare. Come Osservatorio, “oltre a fare ricerche -spiega la studiosa- vogliamo sensibilizzare gli operatori: il prossimo workshop sarà sulla cybersecurity per le istituzioni culturali". "Dalla nostra survey - prosegue - emerge che solo l’8% dei musei dice di aver investito in cybersecurity e data protection: siamo molto indietro e mancano proprio le figure di riferimento. C’è da lavorare sulle competenze di chi c’è, sia sull’acquisire figure professionali che per ora non ci sono”. C’è poi l’aspetto legato alla digitalizzazione del patrimonio. “Ci siamo accorti che una bella percentuale di musei (83%) aveva digitalizzato almeno una parte della collezione e chi aveva questo tesoretto ha potuto utilizzarlo per fare le attività online soprattutto in quei momenti in cui non si poteva neanche accedere al museo. Ora però si apre un discorso più ampio sull’uso di questi contenuti: il non-fungible-token (una sorta di certificato di proprietà digitale ndr) del Tondo Doni venduto a 70mila euro ne è un esempio e potrebbe aprire dei ragionamenti su nuovi modelli di business che vengono abilitati proprio dalla digitalizzazione”. Lorenzini è convinta che la digitalizzazione possa essere un potente booster economico. “Vedo delle grandissime possibilità -dice- di ricavi anche per i musei. Ci sono ritorni economici, se noi riusciamo a essere più accessibili e a dare anche un’immagine diversa del museo, sia a chi vive il territorio e i siti culturali sia ai turisti. Possiamo lavorare proprio sull’incremento delle entrate ai siti culturali e non ai ‘soliti’ noti musei, ma anche valorizzando tutto il nostro patrimonio diffuso. Poi possiamo rendere più attrattive le nostre istituzioni culturali lavorando sulla digitalizzazione non solo della biglietteria, ma anche dei percorsi di vista attraverso linguaggi più vicini ai target di utenza". Non solo. "Poi c’è la qualità dei contenuti culturali che può avere un mercato enorme dall’America al Giappone: i cittadini potrebbero visitare la pinacoteca di Brera magari accompagnati dal direttore in esclusiva. Col digitale, insomma, possiamo raggiungere delle nicchie esclusive all’estero: non sarà il mercato delle partite di calcio, ma non è certo un mercato limitato. Basti pensare alle scuole e alle Università che in tutto il mondo studiano la storia dell’arte. Io su questo investirei in maniera potente”, conclude l'esperta. (di Mariangela Pani)





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