“Donnaregina”: Teresa Ciabatti e il suo romanzo sul boss mafioso Giuseppe Misso - Affaritaliani.it

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“Donnaregina”: Teresa Ciabatti e il suo romanzo sul boss mafioso Giuseppe Misso

La cronaca, la narrativa, la riflessione intima, la dimensione personale e quella familiare. Tanti i temi che si intrecciano nel nuovo libro della Ciabatti

di Chiara Giacobelli

Con Donnaregina Teresa Ciabatti compie un’operazione letteraria ardita, un attraversamento dei confini dell’autofiction per giungere alle soglie dell’inchiesta, mantenendo tuttavia integra la propria cifra stilistica: disincantata, personale, capace di sprofondare nell’abisso dell’intimità pur senza perdere lo sguardo sul mondo esterno. Il risultato è un romanzo che si colloca in una zona al limite fra confessione privata e narrazione pubblica, laddove il crimine incontra l’affetto e l’aneddoto domestico si specchia nella ferocia della storia.

Il libro, edito da Mondadori, si apre come una cronaca: la scrittrice – alter ego dichiarato dell’autrice – riceve l’incarico di intervistare Giuseppe Misso, detto ’o Nasone, ex superboss della camorra e oggi collaboratore di giustizia. Ma l’incontro tra questi due mondi antitetici, quello borghese e incerto della narratrice e quello brutale ma stratificato del criminale napoletano, evolve rapidamente in qualcosa di inatteso: un dialogo struggente, in bilico tra fascinazione e rifiuto, attrazione e disorientamento.

Misso, autore confesso di decine di omicidi, figura chiave della guerra camorristica nel ventre oscuro di Napoli, emerge qui in tutta la sua complessità. Lungi dall’essere ridotto a semplice mostro, viene mostrato nella sua umanità contraddittoria: l’allevatore di colombi, il credente negli UFO, il lettore di Céline, l’uomo che, pur senza giustificare, l'autrice racconta. «Alla fine ho capito che concetti che mi sembravano posticci, come “se cresci in un contesto impari quel linguaggio”, sono veri» ha dichiarato Teresa Ciabatti a Rivista Studio, a testimonianza di un percorso che l’ha condotta a mettere in discussione pregiudizi radicati.

Il cuore di Donnaregina, pubblicato da Mondadori, non è però Misso in sé, bensì lo scarto tra l’eccezionale e l’ordinario, tra l’universo criminale e quello quotidiano della narratrice. Il vero punto d'incontro tra i due è la ferita del genitore, la perdita del legame con i figli. Il boss, pur in tutta la sua spietatezza, è padre di un figlio omosessuale, verso il quale mostra un’inaspettata accettazione pubblica. «Mio figlio è gay, signor giudice, che male c’è?» dichiara in aula, frattura simbolica nella cultura camorristica. La protagonista, dal canto suo, è madre di un’adolescente fragile, immersa in un malessere che travolge ogni certezza. L’incomunicabilità tra le generazioni diventa così il filo che cuce le due vicende: da una parte il crimine, dall’altra la crisi.


 

«È stato un lavoro di tre anni e mezzo con Misso, ci vedevamo continuamente» confida l’autrice, ricordando la genesi del libro come frutto di un’ossessiva vicinanza quotidiana. Non fu paura quella che provò, ma piuttosto il bisogno di comprendere e di raccontare. «Mi ha detto: ‘Devi scrivere un libro su di me. Lo puoi fare solo tu’» ha spiegato la Ciabatti ai microfoni di Io Donna. In effetti, l’approccio dell’autrice è qui è tutt’altro che tradizionale: disattende ogni codice della cronaca, si sofferma su dettagli apparentemente marginali – l’orologio Cartier, la madre, i cardellini – che invece rivelano molto più di una fredda biografia.

Sul piano stilistico, Donnaregina segna un’evoluzione nella scrittura dell’autrice. Se ne La più amata prevaleva una voce adolescenziale, egocentrica, qui la narratrice si ritrae, osserva, ascolta. «Questa voce è invecchiata, più dolente, più calma, e soprattutto guarda l’altro» dice lei stessa. Il libro è dunque anche un autoritratto in trasformazione, un racconto di consapevolezza che scaturisce dal confronto con un’alterità estrema.

La struttura del romanzo alterna le vicende di Misso – narrate con precisione quasi documentaria – e la crisi esistenziale della protagonista, segnata dalla malattia della figlia e dalla perdita dell’amica Michela Murgia. Le due trame si rincorrono, si sovrappongono, fino a fondersi. Quando la scrittrice si mette alla ricerca del figlio del boss, scopre che sta in realtà cercando sua figlia. Il viaggio nel passato criminale dell’uomo diventa esplorazione della propria impotenza genitoriale.
Il titolo, Donnaregina, evoca un rione di Napoli ma anche una figura femminile sacrale, simbolo di maternità e dominio, presenza costante e assenza dolorosa. È un nome che racchiude il doppio asse del romanzo: città e madre, regina e donna, sacro e profano.


 

La critica ha accolto l’opera con entusiasmo. Jonathan Bazzi lo ha definito «un romanzo libero, folle, poetico», mentre Roberto Saviano ha parlato di «orrore, sangue, e forse salvezza». Federica De Paolis lo ha letto come un’opera «furiosa, umanissima, in stato di grazia». L’intensità del racconto, unita alla capacità della Ciabatti di non emettere mai un giudizio definitivo, ha colpito anche il Corriere della Sera, che ha visto nel romanzo «una promessa mantenuta».

Ma forse la reazione più interessante è quella di Misso stesso, il protagonista. Pur avendo firmato la liberatoria, non ha ancora letto il libro. «Ha questo senso sacro della letteratura» spiega Ciabatti «non voleva interferire con la mia immaginazione». In un gesto paradossale di fiducia, l’uomo che ha ucciso decine di volte sceglie di lasciarsi raccontare, senza sapere come.
Donnaregina è un libro disturbante, perché mette in discussione le nostre certezze morali. Non assolve, non condanna, ma pone domande. È questo il suo merito più alto: mostrare l’umano là dove sembrava impossibile trovarlo.