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Libri & Editori
"Ezio Bosso: La musica si fa insieme". Un viaggio nell'arte del grande Maestro


 

IL LIBRO

Il 10 febbraio 2016 Carlo Conti chiamò sul palco della sessantaseiesima edizione del Festival di Sanremo il maestro Ezio Bosso, pianista, contrabbassista, compositore e direttore d’orchestra di fama mondiale. Considerato dalla critica internazionale tra i maggiori esponenti della corrente musicale postminimalista, le sue composizioni erano arrivate dall’altra parte del pianeta, eppure al grande pubblico italiano questo nome, fino a quella esibizione, diceva poco. Quella sera, con le sue riflessioni e le sue note, l’artista piemontese conquistò una delle platee più vaste del Paese, trovando così la meritata consacrazione anche in patria. Questo libro, uscito per la prima volta nel 2016 e ora riproposto con gli aggiornamenti sulla vita dell’artista degli ultimi quattro anni, è un viaggio nel percorso artistico di Ezio Bosso, nell’approccio e nel pensiero che sta dietro le sue composizioni. Partendo dagli studi classici dell’infanzia fino ai recenti impegni artistici, in mezzo troviamo colonne sonore innovative per film e registi di grido, collaborazioni con grandi performer della danza e del teatro, sinfonie travolgenti, contaminazione tra linguaggi sonori, sperimentazione, ricerca, esibizioni nelle più importanti stagioni concertistiche, album di intensità rara. Il testo racconta anche del periodo mod a Torino, della sua vita londinese, della lotta contro la malattia, la risalita e la rinascita. Un percorso straordinario e coraggioso, quello di Bosso, basato fino all'ultimo giorno sullo scambio reciproco con altri artisti e con il pubblico. 

L'AUTORE

Salvatore Coccoluto (Terracina, 1978) è scrittore, saggista e critico musicale. Collabora con diverse testate giornalistiche. Per anni ha scritto per il FattoQuotidiano.it, Oggi.it e LeiWeb. Per Diarkos ha pubblicato Lucio Dalla. La vita, le canzoni, le passioni (2020). È autore di numerosi libri di genere musicale, fra cui Renzo Arbore e la radio d’autore. Tra avanguardia e consumo (2008), Franco Califano. Non escludo il ritorno (2014), Mia Martini. Almeno tu nell'universo (2015), Pino Daniele. Una storia di blues, libertà e sentimento (2015), Gianna Nannini. Amore e musica al potere (2016).

 

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The 12th Room

Il primo album di Bosso esce nel 2015. Sembra assurdo che un compositore così prolifico sia arrivato con tanto ritardo al lavoro di esordio. Ma sappiamo che l’esistenza è imprevedibile, le priorità e i bisogni cambiano in base ai momenti che attraversiamo. Nasce così The 12th Room.

«C’è una teoria antica che dice che la vita è composta da dodici stanze. Sono le dodici in cui lasceremo qualcosa di noi, che ci ricorderanno. Dodici sono le stanze che ricorderemo quando passeremo l’ultima. Nessuno può ricordare la prima stanza perché quando nasciamo non vediamo, ma pare che questo accada nell’ultima che raggiungeremo. E quindi si può tornare alla prima. E ricominciare» scrive l’artista nel libricino del CD, spiegando così il percorso che ha seguito per arrivare alla pubblicazione di questo doppio album.

Registrato interamente al pianoforte da Ezio,con una postproduzione ridotta ai minimi termini per mantenere intatte le dinamiche e le emozioni, il lavoro ci mostra allo stesso tempo il Bosso compositore e interprete. Il primo disco è composto da dodici brani, di cui cinque inediti, mentre il secondo contiene solamente la Sonata no. 1 in sol minore, da lui scritta ed eseguita, formata da tre movimenti della durata totale di circa quarantacinque minuti. Il progetto prende forma nell’estate del 2015, per poi essere inciso dal primo al 4 settembre al Teatro Sociale di Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia, con il pubblico in sala. Un posto magnifico, suggestivo, che si trova nel complesso monumentale di Palazzo Bentivoglio. Ha una storia lunga e travagliata, che passa attraverso ristrutturazioni, periodi di oblio e chiusure che si sono susseguite dagli inizi del Novecento agli anni Duemila.

Finché nel 2005 un gruppo di giovani entra in quello spazio ormai in disuso e decide di riportarlo in vita, restituendolo alla popolazione. Nasce così l’Associazione il Teatro Sociale di Gualtieri. Con grandi sacrifici cominciano a rimetterlo a posto e lo trasformano in uno spazio innovativo, dove trova casa una programmazione teatrale e concertistica d’avanguardia. Ma nel 2011 la mancanza di fondi gli impedisce di organizzare la solita rassegna autunnale e in più il teatro necessita di altri interventi. Così l’Associazione decide di coinvolgere la cittadinanza, organizzando serate di Cantiere Aperto in cui i cittadini che lo frequentano abitualmente possono contribuire alla ristrutturazione dello spazio.

A interrompere questa iniziativa arriva il terremoto che nel maggio 2012 colpisce le province di Modena, Ferrara, Mantova e Reggio Emilia. Il Teatro Sociale viene dichiarato inagibile, ma la volontà delle persone che da anni lottano per recuperarlo è più forte di ogni scossa tellurica. Organizzano lo stesso la stagione estiva nell’area esterna, in piazza Bentivoglio, inaugurandola il 7 giugno proprio con Bosso e il suo pianoforte, accompagnato dal violinista Giacomo Agazzini e dal violoncellista Relja Lukic. I tre musicisti rinunciano al compenso e tutto il ricavato della serata viene devoluto in beneficenza per il recupero del Teatro Sociale e di Palazzo Bentivoglio, anch’esso danneggiato dal terremoto. Il concerto si intitola Another Day e i brani in scaletta, tutti scritti dal Maestro, scandiscono il progredire di un giorno, dall’alba al tramonto. Tra i pezzi anche l’inedito The Things That Remains, che Ezio dedica a Gualtieri e al suo teatro.

«Quando ho conosciuto Riccardo e Rita, [i responsabili del Teatro Sociale], mi dicevano che il loro sogno era salvare un teatro, io dissi loro: “Ci sarò”» racconta il compositore in occasione del concerto a Gualtieri nel 2016, come riportato da Giulia Bassi sulla «Gazzetta di Reggio». «Purtroppo nel 2012 ha tremato la terra, dopo che nel 2011 tremò la mia [conriferimento alla malattia, ndr], ma insieme ce la potevamo fare. Mi ricordo che non venivo a Gualtieri da due anni, poi ho visto un nido di cicogne e ho capito che ero a casa. E da allora, ogni anno, vengo qui e ci porto i miei amici [dice indicando i violoncellisti di Torino] che da trent’anni mi sopportano».

E in effetti la sua presenza quel 7 giugno a Gualtieri getta il seme per l’ennesimo rifiorire del Teatro Sociale: in autunno, dopo il parere positivo di una commissione del Ministero dei Beni Culturali, riparte il progetto Cantiere Aperto per concludersi il primo maggio del 2013 con la disponibilità di questo spazio ristrutturato direttamente dal suo pubblico. Ezio riceve così la cittadinanza onoraria e diventa uno dei tanti abitanti che hanno contribuito a questa rinascita. Sceglie di celebrare in quel teatro anche la sua di rinascita, registrando il primo disco.

The12th Room fotografa un momento della sua vita: «I brani, come sempre nelle mie scelte, rappresentano un piccolo percorso meta-narrativo» scrive nel libricino che accompagna l’album. Bosso, infatti, apre al pubblico le sue stanze, sia a chi già lo conosceva sia a chi l’ha scoperto da poco. Decide di mostrare le radici della sua musica, che passa attraverso pezzi di repertorio classico.

«Alcuni sono i brani che mi hanno aiutato a tornare a suonare, a uscire dalla ‘stanza’, quelli con cui ricomincio a studiare» prosegue Ezio nelle note dell’album. «Altri sono brani dedicati da altri compositori a storie di stanze o concepiti da esperienze avute da loro con esse».

Il primo disco si apre con Following a bird, pezzo che ha grande importanza perché è la composizione da cui è ripartito dopo la malattia. L’artista esce dalla stanza buia e ricomincia a volare, lentamente le dita tornano a muoversi sui tasti bianchi e neri del pianoforte. E per un musicista vuole dire immettere dentro di sé energia vitale. Inizialmente la scrive per violino e piano, al massimo violoncello e piano.

Poi, però, sceglie di farne un adattamento per piano solo. È probabilmente il brano in cui Ezio riconosce la sua rinascita.

Ero nel giardino della casa dove sto molto d’estate, nella campagna bolognese. Le gambe mi avevano lasciato da poco e io ero seduto fuori con il mio amico Gheda. [...] Mi sono perso guardando un uccello volare in alto, lontano, al limite del visibile. Ero lì con lui, lo seguivo. Seguivo quell’uccello ed entravo nel cielo, nei suoi colori, mi vedevo dall’alto. Seguendolo ho perso la mia condizione per un po’.

Osservando quel volo si perde e dimentica i problemi alle gambe, si libra tra i colori. E lì comprende l’importanza di smarrirsi. «Perdersi per imparare a seguire. Perdere i pregiudizi, le paure, perdere il dolore ci avvicina» racconta a «la Repubblica».Per Bosso perdersi diventa una necessità. «È utile, perché ci porta a guardarci intorno» dichiara a «Famiglia Cristiana».

Ti perdi e incontri l’altro da te. Come quando visiti una città, ti smarrisci e cominci a chiedere. Il principio dell’empatia è perdersi. Se stai fermo,non ti perdi di sicuro, ma nemmeno trovi nulla. Bisogna lasciare che la novità sia parte di noi, che ciò che abbiamo non sia una gabbia. Solo così impariamo. Solo così siamo liberi.

 

 

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