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“Fine di un matrimonio”: amore, solitudine e rinascita nel libro di Da Ponte

Fine di un matrimonio, edito da Marsilio, racconta le fasi che si attraversano quando una lunga relazione si interrompe bruscamente. Mavie Da Ponte ci conduce per mano nel vortice emotivo della protagonista e nella sua lenta rinascita.

Le brutte notizie vengono quasi sempre annunciate dalla stessa frase: “ti devo parlare”, o in alternativa “dobbiamo parlare”. A qualcuna sarà già accaduto che il proprio marito abbia confessato di essersi innamorato di un’altra donna e di voler chiudere la relazione. A molte forse non è successo, ma la forza di questa storia sta nella possibilità – terribile, a ben pensarci – che possa riguardare tutte e tutti. Perché l’amore non è eterno, non c’è scritto da nessuna parte, nemmeno su quel contratto di matrimonio che teoricamente unisce “finché morte non ci separi” ma, stando ai dati sulle separazioni e sui divorzi nel mondo, vale in realtà ben poco. A un certo punto, all’improvviso, le certezze di interi anni crollano, ciò che si è costruito con impegno si sgretola, volando via come sabbia al vento. Accettare che stia avvenendo proprio a noi e nel peggiore dei modi, magari a fronte di un tradimento che implica la presenza di qualcuno arrivato a prendersi ciò che fino a poco fa ritenevamo nostro, è molto difficile. Ecco perché la Fine di un matrimonio è come un lutto, una malattia, una morte, una perdita e quasi sempre vede susseguirsi alcune fasi, che possono durare più o meno tempo, a seconda di alcune variabili.

Fine di un matrimonio
 

Ce lo racconta nel suo romanzo d’esordio Mavie Da Ponte, che da poco ha scelto di fare della scrittura un mestiere e ha pubblicato questo primo libro con Marsilio, dopo essersi già fatta conoscere attraverso alcuni racconti online e il suo account Instagram. Qui per parlare di sé stessa in estrema sintesi usa la parola spleen, coniata a Parigi – città a cui Mavie peraltro è molto legata e dove ha studiato – da Charles Baudelaire. Ed è in effetti proprio quella malinconia tipica dello spleen che si respira nelle pagine di questo romanzo, doloroso e intenso, capace di toccare le corde emotive delle lettrici in maniera profonda. La scrittura della Da Ponte è lineare, curata, lieve ma al contempo in grado di penetrare la superficie e andare dritta al cuore, riuscendo così a farci sentire quello che la protagonista, Berta, sta vivendo. È quasi un paradosso, perché si viene a creare una potente empatia con un personaggio che non risulta simpatico né ammirevole sin dalle prime pagine: non è, infatti, nelle intenzioni di Mavie Da Ponte raccontare la storia di un’eroina, tutt’altro.

Berta è opportunista e capricciosa, non sa bene ciò che vuole dalla vita, rigetta il passato e si vergogna della famiglia d’origine – oltre che del quartiere periferico di Roma da cui proviene – ma al tempo stesso non riesce ad essere grata e felice per quello che è riuscita a ottenere: il benessere, l’agiatezza economica, un marito, una casa, una galleria d’arte tutta sua. La realtà è che nessuna di queste cose è stata da lei veramente desiderata, voluta, cercata; piuttosto, Berta si è lasciata vivere, cogliendo le occasioni che si presentavano e facendosi cullare dalla comodità. Così, alla soglia dei cinquant’anni si accorge di aver rinunciato alla maternità senza mai averlo davvero deciso, di aver aperto una galleria d’arte senza essere mossa da una pura passione per il settore, di aver trascorso anni accanto a un uomo che non ama e che tuttavia non vuole perdere.

Fine di un matrimonio è un romanzo dal ritmo lento e puntiglioso che non fa sconti, perché mira a stanare le tante bugie che ognuno di noi si racconta per rendere più bella – agli occhi degli altri e di sé stessi – una vita altrimenti insoddisfacente. Ciò non è però sufficiente ad evitare che quando la mediocrità ci viene finalmente strappata di mano, all’improvviso si trasformi in qualcosa a cui ci sembra di non poter rinunciare; ecco allora spiegate le fasi del lutto e della perdita, nonostante tutto. Dapprima arrivano rifiuto e negazione: non è possibile che stia succedendo a me, sarà una sbandatella momentanea, di certo tornerà a casa nel giro di poco tempo. Poi, con il trascorrere dei giorni e il rendersi conto che nulla sarà più come prima, compaiono la rabbia e la malinconia, a volte alternandosi a seconda dei momenti e delle situazioni. Da una parte c’è l’odio non soltanto nei confronti di chi ci ha ferito, ma di tutti coloro che sembrano essere più felici di noi; dall’altra la volontà di lasciarsi andare, di continuare a cadere nel pozzo nero di solitudine e disperazione da cui siamo irrimediabilmente attratte, finendo così per allontanare anche le poche persone care rimaste. Soltanto quando tutte questi fasi avranno fatto il loro corso sarà possibile tornare a vedere con i propri occhi, anzi con uno sguardo rinnovato, concedendosi di emozionarsi di nuovo, aprendo le porte alla speranza e guardando al passato senza più il velo dell’ipocrisia. Solo allora ci accorgeremo che la fine di un amore non arriva mai all’improvviso, semplicemente non l’avevamo vista arrivare.  






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