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Libri & Editori
Lezioni di letteratura russa: Nabokov torna in libreria edito da Adelphi

Nella biografia ufficiale di Vladimir Vladimirovič Nabokov si racconta che nel 1957 il suo nome venne proposto come potenziale talento da assumere presso l’Università di Harvard. Un professore del dipartimento di slavistica avrebbe però risposto: “anche ammettendo che sia uno scrittore importante, cosa faremo poi, inviteremo un elefante a ricoprire la cattedra di zoologia?”.

Nabokov non venne mai chiamato ad Harvard e nel 1958, in seguito allo strabiliante successo di Lolita (e al conseguente ritorno economico), “l’elefante” abbandonò in toto l’insegnamento. Tuttavia, lo scrittore russo coltivò a lungo il progetto di raccogliere e organizzare gli appunti, gli schemi e le lezioni universitarie in un volume, che purtroppo non riuscì a completare. Le lezioni, infatti, erano concepite per l’esposizione orale; inoltre, l’enorme mole di materiale e la meticolosità stilistica di Nabokov rappresentavano sicuramente dei grossi ostacoli durante la revisione in vista di una pubblicazione. Nonostante ciò, dopo la morte dello scrittore, Fredson Bowers – con il prezioso aiuto di Dmitri e Vera Nabokov, rispettivamente figlio e moglie di Vladimir – riuscì a portare a termine l’ambizioso progetto, nel 1980.

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Il volume, uscito da poco in libreria e stampato da Adelphi con il titolo di Lezioni di letteratura russa, affianca e completa Lezioni di letteratura, già pubblicato nel 2018 dalla stessa casa editrice con le traduzioni della versione inglese di Fredson Bowers.

Se in alcuni tratti è palpabile l’eterogeneità e talvolta la natura grezza del materiale a cui deve aver avuto accesso Bowers, ciò non rappresenta affatto una pecca; al contrario, ovunque si percepisce l’atmosfera dell’aula universitaria, si immagina la gestualità e la mimica di Nabokov mentre si immerge nella lettura di alcuni suoi pezzi preferiti, o lancia strali contro quei traduttori colpevoli di aver rovinato un’opera d’arte. La sfaccettata e complessa personalità dell’autore emerge chiaramente dalle pagine: appaiono a turno l’insegnante, il critico, l’artista, l’esule, l’uomo; il lettore può dunque immergersi appieno nella sua visione personale e totalizzante della letteratura.

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Devono essere stati anni straordinari, sia per gli studenti (le richieste di frequenza superavano sempre il limite massimo di allievi che potevano essere ammessi), sia per Nabokov stesso: in quel periodo terminò infatti Parla, ricordo, scrisse Lolita e le storie di Pnin, condusse ricerche per la traduzione di Eugenio Onegin e gettò le basi per Fuoco Pallido.

Vladimir Nabokov è da considerarsi un insegnante sui generis, quasi radicale per via della profonda frattura che percepisce tra arte e realtà; non vuole trasmettere semplici informazioni, ma insegnare a leggere, a sentire il testo, a percepire l’arte e la passione insita nella creazione.

“È certo che, per quanto acutamente, per quanto mirabilmente si esamini e analizzi un racconto, un brano musicale, un dipinto, ci saranno sempre cervelli che rimarranno vuoti e spine dorsali che non saranno percorse da alcun fremito. […] È necessario che abbiate dentro di voi una cellula, un gene, un germe che vibri in reazione a sensazioni che non sapete definire né potete ignorare. Bellezza più compassione – questo è il concetto che maggiormente si avvicina a definire l’arte”.

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Il suo sguardo coglie attraverso la lettura oggetti e particolari apparentemente insignificanti, in grado tuttavia di illuminare sentieri nascosti tra le parole, sui quali sono visibili le orme lasciate dall’autore: egli fa risplendere, dunque, la magia della creazione. D’altronde, il dominio ossessivo dei dettagli è proprio uno dei marchi di fabbrica di Nabokov, apprezzabile soltanto attraverso la rilettura, di cui era strenuo sostenitore. Leggere, infatti, non è mai un’azione meccanica: “Ho cercato di farvi diventare buoni lettori che leggono i libri non con lo scopo infantile di identificarsi con qualche personaggio, e non con lo scopo adolescenziale di imparare a vivere, e non con lo scopo accademico di indulgere alle generalizzazioni. Ho cercato di insegnarvi a leggere i libri per la loro forma, la loro potenza evocativa, la loro arte. Ho cercato di insegnarvi a provare un brivido di soddisfazione artistica, a condividere non le emozioni dei personaggi, ma quelle dell’autore: le gioie e le difficoltà del creare”.

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