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Quest'ora dell'estate. La recensione del libro di Carla Saracino

Una breve riflssione sui versi di "Quest'ora dell'estate" Carla Saracino

Si appalesa una “filosofia del paesaggio” nel libro di poesie di Carla Saracino, “Quest’ora dell’estate” per i tipi di L’arcolaio. Il poeta che rispecchia la propria esistenza dalla quale sorge il pensiero così come è stato per Nietzsche, o Camus. Personalità dense e pregne di vissuto che hanno manifestato ciò che ancora resta a noi, testimoni ignari, a volte, della bellezza. E sono giustappunto queste atmosfere che si respirano con Carla Saracino e la sua silloge.

“Quest’ora dell’estate” è qui et nunc ma al contempo è un’ora che abbraccia l’eterno, l’αἰών: Saracino fotografa l’estate, le estati con la profondità del dolore, attraversando i deserti, così come fanno i poeti, perché il “deserto ha un senso”, scrive Camus “è sovraccarico di poesia”. E l’Autrice allo specchio delle parole dipinge i paesaggi, mostra al lettore le dune, le spiagge, le strade polverose, rocce, canneti, litoranee desolate pensando di cambiare nella persuasione che “cambiare è un mestiere adulto”. Leggendo questi versi si ha l’impressione di percorrere le stesse strade, di calpestare la stessa terra, e sentire il calore dei raggi solari. I deserti.

“Quel legno, guasto, era una vita da realizzare” (p. 48) e qui il pensiero kantiano esplode per essere fedele alla ragione, il cuore non comprende. “Chi vive dietro di te, appena sopra / il respiro che adesso allenta l’aria, diviso dalla vita e mai più morente? / Chi sta in questo transito di natura / poco dopo il cuscino, la tastiera, / la luce della stanza?” (p. 55); e ancora: “Anche io ho amato la vita, / senza ipotesi di scambio. / Sono stata nelle spiagge dell’adolescenza / e ho temuto per gli altri, / prima che per me. / Ho seguito chi poteva restare, e sono rimasta. / Ho cenato nelle contrade più belle, con i commensali / migliori. Avevano ragione di starmi accanto: per le loro ombre. / Le vedo oggi, allineate, nella luce della casa. Irrompono / alla vista, scadono nel perdono, irradiano i primi anniversari (p. 57).

Si vive nelle nostalgiche “stanze”, familiari “case”: metafore di poesia. Ricostruzione di fantasmi, di ombre immaginate, di ‘amori cortesi’. La sabbia non copre i sentimenti nostalgici che Carla Saracino vive, respira ancora attraverso “Quest’ora dell’estate”, la “realtà viva del Mediterraneo”, l’incontro fra Oriente e Occidente, l’essenziale del genio mediterraneo, quella bellezza che vive nell’albero, nella collina e negli uomini; che ha bisogno di verità e non di favole. Le origini di un Sud che Saracino possiede, che sono nelle sue stanze e che mostra con garbo. È attenta ai grilli, all’odore di brace, alla calce dei terrazzi, al tempo che “declina” mentre “la spiaggia nasce sulla pagina”.

E così scorrono i versi e i suoni sembrano ‘imputarsi al pensiero’ perché dietro ogni simbolo, analogia ci sono le profondità di vissuti che si avvertono in ogni nuance in modo intenso seppur delicato: leggero quale può essere un granello di sabbia ma travolgente come un’onda bizzarra o appetitosa come una tavola imbandita e acre quale è il sapore del limone del Mediterraneo. Si dipana “il pensiero meridiano” di Franco Cassano, si assapora L’Estate di Albert Camus: incontriamo paesaggi descritti con sublime poesia similmente ai sentimenti profusi da Carla Saracino in “Quest’ora dell’estate” dove campeggiano i versi mentre lei si guarda allo specchio, si ri-flette con ossequio ma senza alcuna genuflessione. In fondo l’estate appare impettita e disinvolta nei riguardi dell’inverno, ignara della sua indispensabile presenza. Come la luce ha bisogno della sua ombra. Il corpo della sua anima. Il linguaggio del suo pensiero. Dicotomie. Unicità.                         

          

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