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(Adnkronos Salute) - “La pandemia ha, inevitabilmente, reso necessaria una riorganizzazione del Servizio sanitario nazionale sia a livello nazionale che locale. Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza sono previsti 7 miliardi per le reti di prossimità, le strutture e la telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale e 8,63 miliardi per l’innovazione, la ricerca e la digitalizzazione del Ssn. Ricorrere alla telemedicina significa ridurre i costi delle procedure e smaltire le liste di attesa, oltre a favorire l’attivazione di strumenti di sanità digitale che rappresenterebbero un rinnovamento organizzativo e culturale per il Paese". Lo ha detto la senatrice Paola Binetti, presidente Intergruppo Parlamentare per le Malattie Rare-XII Commissione Senato della Repubblica, ‘Igiene e Sanità’, intervenendo all’ evento online “L’importanza della telemedicina nell’emofilia, il progetto REmoTe” a cura dell’Osservatorio malattie rare (Omar). Ma "perché l'innovazione proposta dalla telemedicina possa dare tutti i frutti possibili - ha sottolineato - è necessario che si faccia un serio investimento non solo sotto il profilo tecnologico, ma anche e soprattutto sotto il profilo formativo. Non è in gioco solo l'aggiornamento in senso tecnologico delle competenze dei professionisti della salute – ha sottolineato Binetti - ma anche tutto ciò che rappresenta la formazione del paziente a sapersi servire del nuovo approccio. La Medical Education deve affrontare ogni cambiamento anteponendo alla tecnologia l'educazione alla salute, con le nuove risorse e con gli inevitabili cambiamenti sul piano relazionale”.Secondo la senatrice, però, non basta “sviluppare lo strumento di telemedicina o creare un algoritmo efficace, bisogna che il paziente sappia usarlo e che capisca quali vantaggi può ricavare da una conoscenza sufficientemente agile dello strumento telematico. Abbiamo bisogno di pazienti competenti, ma perché ciò avvenga dobbiamo pensare la telemedicina come se fosse un sistema al quale tutti possono attingere, ognuno secondo le sue necessità”. Il progetto REmoTe nasce e accoglie esigenze diverse e si propone di portare all’attenzione un’esperienza applicata alle malattie rare che proseguirà nell’ambito dell’emofilia, ma che può essere utilizzata come modello anche per patologie più diffuse.





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