Politica
BankItalia, gli scivoloni di Guido Carli
Il nome di Eugenio Scalfari rimbalzò in Aula
Il terremoto istituzionale e politico che ha scosso la rocca inaccessibile di Palazzo Koch, è stata l'occasione per i media di riportare in auge l'elegantissimo Governatore Guido Carli come uno dei migliori se non il migliore inquilino del Palazzo. In quest'operazione di revival ci si è dimenticati, appositamente o per amnesia, di alcuni importanti passaggi parlamentari sull'operato non del tutto chiaro e trasparente, a esser generosi, del prestigioso inquilino.
Era il 22 ottobre 1970 e alla Camera dei deputati si discutevano i provvedimenti economici del Governo, presieduto dal democristiano Emilio Colombo, ministro del Tesoro, il dc Mario Ferrari Agrradi. A quell'epoca la Banca d'Italia era diretta da un elegantissimo uomo, Guido Carli e il suo operato venne aspramente criticato perchè, o per incapacità o per non volontà, assisteva passivamente al diffondersi di "uno dei vermi roditori, dei principi di cancro della nostra economia, l'espatrio dei capitali all'estero, causa principale dell'anemia sull'afflusso degli investimenti".
Chi criticava Carli ammonì, sin d'allora, che il capitalismo italiano, a differenza degli altri capitalismi europei stava cambiando natura e pelle, perchè aveva acquisito una caratteristica: il legame assai più pronunciato che in qualunque altro capitalismo con le posizioni di rendita.
In altre parole, l'elemento finanziario e monetario già allora prevaleva sulla produzione capitalistica e produceva l'anemia degli invesitimenti, perchè i profitti cambiavano rotta: invece di essere reinvestiti nel cilo produttivo, prendevano vie più remunerative come l'esportazione e l'occultamento o l'impiego nella rendita fondiaria.
Ne conseguiva che la mancanza di investimenti nel ciclo produttivo veniva strumentalmente attribuita da un certo terrorismo economico e mediatico agli effetti delle lotte contrattuali e al loro proseguimento nelle fabbriche: in realtà era dovuta alla fuga dei capitali o per ragioni speculative o per evasione fiscale.
Un fenomeno questo assai rilevante su cui la Banca d'Italia, e quindi il Governo ma in particolare il Ministro del Tesoro, non avevano esercitato il controllo dovuto, tenendo un comportamento passivo senza intervenire: per un'attesa miracolistica del valore risanatore e auto-risanatore del mercato.
Su questo specifico punto, rimbalzò inaspettatamente nell'aula della Camera il nome di Eugenio Scalfari, allora deputato del Psi, per il quale Carli fu uno dei più efficienti governatori della Banca d'Italia, insieme a Carlo Azeglio Ciampi.
Si udirono parole composte ma al tempo stesso severe nei confronti del futuro fondatore di Repubblica. Francamente io non posso in nessun modo condividere il giudizio che ieri il collega on. Scalfari ha emesso giustificando in qualche modo la tecnica seguita dalla Banca d'Italia (e, in fondo, dal governo che se ne assume la responsabilità), addidirttura non soltanto di tollerare, ma di favorire l'esportazione dei capitali allo scopo di sfuggire alla pressione internazionale che si esercitava nel senso di rivalutare la lira. No, non posso ammettere un criterio di questo genere, perchè non vi erano le condizioni obiettive per la rivalutazione come non ve ne erano per la svalutazione della lira.
Fatto questo inciso non di poco conto, i deputati esterrefatti si trovarono di fronte al totem del segreto bancario da andava abolito in quanto dietro di esso proliferavano l'occultamento dei capitali - visto che i sistemi di occultamento passano sia per i privati sia per le società attraverso il segreto bancario - e l'evasione fiscale, tanto che nessuna riforma avrebbe mai funzionato senza la trasparenza dall'apparato bancario.
Nel caso dell'occultamento dei capitali fu rilanciata - dopo il no fatto recapitare al primo centro-sinistra del '62 con l'astensione del Psi e su cui si formò nel tardo 1963 il secondo governo di centro-sinistra organico con il Psi, presidente del Consiglio Aldo Moro - la riforma urbanistica.
Riforma che, impostata sulla fine della rendita fondiaria, coinvolgeva interessi formidabili tanto da scatenare forze ben individuate, la speculazione. Oltre questa c'era però un'altra forza che agiva nell'ombra: le banche, che avevano parte dei crediti garantiti sui valori dei terreni edificabili e sui valori incrementati dalle rendite crescenti dei terreni edificabili.
Sul secondo aspetto - l'evasione fiscale - si toccò il totem, ossia il segreto bancario che proteggeva il credito sui depositi miliardari: un capitalista che aveva depositato un miliardo poteva occultarlo insieme al 7% d'interessi che percepiva, mentre denunciava al fisco il 12% che pagava su un prestito di un miliardo, accordatogli dalla banca e quindi dichiarato.
Di quì la necessità urgentissima di riformare, ma secondo lo schema delle riforme di struttura o strutturali, malamente usate oggi, il sistema bancario, una cortina che si interpone tra le aziende, tra i patrimoni privati, tra i redditi privati e i redditi societari, e la mano pubblica e il governo.
Insomma, il sistema bancario non doveva apparire al pubblico, all'opinione pubblica, come "una rocca inaccessibile e impenetrabile ma altrettanto irresponsabile. Noi questa rocca inaccessibile, questa irresponsabilità garantita dalla non visibilità, non la possiamo più tollerare. Ha fatto troppi danni".
E quanto la lotta all'evasione fiscale fosse fondamentale, decisiva e presente nei pensieri dell'audace ingombrante critico di Carli e Scalfari lo si evince da una circostanziata denuncia di tutti i casi concreti e modi concreti con cui l'esportazione di capitali, per la sua parte illegittima, avveniva. Occorre ricordare, come sostengo da diversi anni, che questa esportazione non avviene prevalentemente o solo attraverso l'esportazione fisica con le gerle dei contrabbandieri, ma avviene attraverso la connivenza organizzata dall'apparato bancario, tollerata e incoraggiata dalla Banca d'Italia.
Quanto sopra - oggi ancora attualissimo - è tratto dall'inascoltato intervento alla Camera dei Deputati (22 ottobre 1970) e da una altrettanto inascoltata interrogazione parlamentare (29 aprile 1970) ai Ministri del Tesoro e del Commercio con l'Estero, del presbite Riccardo Lombardi.