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Politica
Da Draghi "nonno" ai limiti di Silvio, Breda racconta l'ultima corsa al Colle

Quirinale 2022, Marzio Breda racconta su affaritaliani.it l'ultima (folle) corsa al Colle

Dopo l'intervista della settimana scorsa sul suo libro dal titolo "Capi senza stato" (222 pagine, 18 euro), affaritaliani.it interpella nuovamente Marzio Breda, quirinalista del Corriere della Sera da oltre 30 anni, sui retroscena delle ultime elezioni del Colle. Mario Draghi sembrava il candidato naturale per il ruolo di Capo dello Stato dopo aver accettato di portare il Paese fuori dall'emergenza Covid e lanciare il Pnrr da presidente del Consiglio nel gennaio del 2021. Con la nota frase "sono un nonno al servizio delle istituzioni", il 22 dicembre del 2021, Draghi dichiarava ai partiti la propria disponibilità per raccogliere la staffetta di Sergio Mattarella. Un'esternazione che, forse, ha pagato.

Con quella affermazione Draghi si è bruciato il Quirinale?

“Non credo. Draghi era candidato di fatto nel senso che il suo nome correva sulla bocca di tutti. Draghi non è un manovriero, non penso che abbia brigato più di tanto. Un po’ se lo aspettava, forse. Certamente se Draghi fosse andato al Quirinale potevano cambiare parecchie cose ma ormai il destino è segnato”.

Dopo giorni di stallo si è tornati su Mattarella…

“Mattarella adesso è in attesa della lista (dei ministri del nuovo governo di Centrodestra ndr). Come sappiamo su alcuni ministeri ci tiene che ci siano figure di alto profilo. Ma anche figure non discutibili. Agli Esteri non è che puoi mettere un euroscettico altrimenti poi l’Italia avrà fatica ad avere rapporti con Bruxelles, allo stesso modo l’Economia”.

Le malelingue dicono che Mattarella e il suo staff non abbiano mai pensato di lasciare il Quirinale...

“No, l’ho visto proprio in quei giorni immediatamente precedenti all’elezione. Lui era davvero convinto di lasciare. Aveva fatto tutto per la nuova casa. Aveva fatto portare i mobili da Palermo”.

E Berlusconi? Appoggiato a parole dagli alleati ma non fino in fondo

“La sua candidatura è stato un omaggio dei suoi alleati. Non mi pareva praticabile dal punto di vista numerico. Era più un ballon d'essai”.

Era consapevole di questo Berlusconi?

“Non penso ci credesse veramente. È consapevole dei propri limiti. Lo si è visto anche in campagna elettorale. Ha fatto una trentina di video da 2 o 3 minuti ma nelle piazze non si è visto. Berlusconi è nella quarta età”.

La Casellati invece ci credeva davvero?

“Forse lei sì. Ma c’era il 'gioco del cerino' per bruciare un candidato dopo l’altro e con la Casellati c'è stato un gioco d’interdizione. In quel momento si vagheggiava sul fatto di portare una donna al Colle ma comunque non c’erano i numeri”.

Casini o Belloni, chi tra i due è stato più vicino al Colle?

“Casini ha la sua abilità manovriera. Tanto è vero che il Pd lo ha ricandidato (alle ultime elezioni ndr). Comunque nessuno dei due. C’erano troppe controindicazioni. La verità? È mancata la figura che fosse in grado di raccogliere un consenso. Un ruolo che ha provato ad avere Renzi e proclamava di volerlo avere Salvini ma non aveva nessuna chance di portare avanti un’operazione così complessa e alla fine si sono incartati. Per questo hanno chiesto a Mattarella di restare, esattamente come è successo con Napolitano. Parlamento in panne, completamente nello stallo”.

Le controindicazioni sulla Belloni nascevano dal fatto che fosse a capo dei servizi segreti?

“Ricopriva e ricopre un ruolo particolare e molto delicato. È una figura del tutto fuori dalla politica. Di presidenti della Repubblica non politici abbiamo avuto solo Einaudi e Ciampi che però avevano avuto dei ruoli. Ciampi aveva fatto nel ’93 il presidente del Consiglio e poi il ministro dell’Economia. Però la casella del Quirinale, di solito, se la vogliono giocare i partiti”.

Anche Frattini era un nome caldo…

"A dimostrazione del cannibalismo interno ai partiti. Frattini nel Centrodestra. È come quello a cui stiamo assistendo per la composizione della lista dei ministri. Un gioco cannibalistico. Frattini non è mai stato seriamente in corsa. È quel tritacarne che scatta sempre per cui si buttano lì un sacco di nomi".

Quindi possiamo dire con certezza, seguendo questo ragionamento, che Salvini non farà il ministro degli Interni e Tajani non farà il ministro degli Esteri?

“No, non dico questo. Dico che però i nemici sono tra le proprie fila. Salvini ha fatto eleggere molti dei suoi ma questo non basta. La Meloni dovrà giocare col bilancino per accontentare tutti gli alleati. Però poi vorrà anche imporsi su alcune scelte chiave. Per esempio gli Interni: non è un ministero da niente, così come gli Esteri. Tajani è stato molti anni a Bruxelles, è stato presidente del Parlamento europeo. Nessuno può dire che non abbia il curriculum in ordine però poi ci sono inimicizie e per questo rischia fino all’ultimo”.

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