Elezioni 2018: liste dettate dalla logica di potere ammantata di rinnovamento - Affaritaliani.it

Politica

Elezioni 2018: liste dettate dalla logica di potere ammantata di rinnovamento

Ernesto Vergani

Le liste elettorali per le Politiche? Dettate dalla logica di potere ammantata di rinnovamento

 

Drammatica e grottesca al contempo la guerra dentro il Pd per aggiudicarsi un seggio al Parlamento alle elezioni del 4 marzo, con le minoranze di Andrea Orlando e di Michele Emiliano in lotta con la maggioranza di Matteo Renzi. Come al mercato: "Ne voglio 20/30 sicuri", "Al massimo ve ne do 15". E sembra grave la dichiarazione al Corriere della Sera dell'escluso Nicola Latorre: "Al di là della sceneggiata c'è stata sostanziale intesa con le minoranze. (…) Il problema era quanti sono i miei e quanti sono i tuoi e alla fine si sono messi d'accordo. Credo fosse concordata la modalità".
Il compito era arduo: conciliare il rinnovamento e confermare i notabili. Inevitabile che molti siano rimasti fuori. Grave lo stravolgimento del principio del collegio uninominale, con candidati che non c'entrano niente col territorio. L'esatto opposto del presupposto liberale dell'elezione diretta: io cittadino (che sono la democrazia) eleggo quasi chi conosco di persona. Un'opportunità di educare gli italiani al liberalismo andata perduta. E così si spiega l'onorevole scelta di Gianni Cuperlo di ritirarsi. "Io con c'entro niente - è il ragionamento di Cuperlo - col collegio uninominale di Sassuolo dove mi hanno destinato". Se non altro nel Pd si possono intuire le ragioni di quanto avvenuto. Più sottile quanto successo dentro Forza Italia e la Lega, dove sembra che i decisori siano, meno democraticamente, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Discorso a parte quello del movimento 5 Stelle del candidato premier Luigi Di Maio che si affida alla Rete, ma anche qui gli esclusi protestano.
Che fare? La politica dovrebbe essere la forma più alta dell'esistenza. I parlamentari essere il meglio del Paese sotto tutti i punti di vista: delle idee, della cultura, dell'intelletto. Molto negativo se l'interesse è la poltrona, un posto privilegiato dove i meriti non servono: un bel vestito, smartphone e tablet, un po' di furbizia e il salsicciaio è pronto a tenersi il suo scranno. Altrettanto negativa la permanenza di lunga data in Parlamento, il che è la prova che esistono i professionisti della politica. Visto che tutto è relativo, certo non si può usare come discrimen la laurea (anche se è più probabile che sia più preparato un laureato di chi ha il diploma, per intenderci, di scuola elementare). Che altro criterio poteva essere utilizzato? Quello del merito e delle idee. Si pensi al momento del voto: che meriti (anche da politico, non solo nel senso del ricercatore scientifico di turno o dell'intellettuale funzionale al sistema) e che idee (non demagogiche) ha colui che mando in Parlamento e il leader di partito che l'ha nominato. E potrebbe anche esserci la prova del nove. Si rifletta su che cosa accomuna la politica peggiore (mediocrità, attaccamento alla poltrona, professionisti della politica, salsicciai), ciò che equipara tutto ciò è: un interesse personale. Il candidato ideale - ovvio in base a un criterio meritocratico e che abbia qualche idea - è colui che non ha nulla da guadagnare (e da perdere).