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Politica
Garantisti o forcaioli? La debolezza della politica complica le scelte etiche

Garantisti o forcaioli? Pro o contro la prescrizione? La svolta del Movimento Cinque Stelle (benché per ora solo enunciata) rappresenta un passaggio importante della recente storia politica, tutt’altro che entusiasmante. L’assoluzione in secondo grado di Simone Uggetti, ex sindaco di Lodi, ha spinto Luigi Di Maio a scusarsi per l’atteggiamento in passato adottato nei confronti di condanne non definitive, ma la sua posizione non pare rappresentare la totalità di un Movimento quantomai frammentato tra le sue molteplici componenti: in senso opposto si sono già espressi Giuseppe Conte e Barbara Lezzi e anche Marco Travaglio, al quale faremmo un torto se lo descrivessimo come un esponente politico, ma che è certamente influente nel dibattito.

Un dibattito che deve necessariamente andare oltre le vicissitudini di una singola entità, ma che richiama una visione più complessiva e non necessariamente dicotomica del rapporto tra politica e giustizia. Si può, ad esempio, essere assolutamente rigorosi nel battersi per la pulizia delle istituzioni e nel contempo sostenere che termini di prescrizione eccessivamente lunghi non siano compatibili con uno Stato di diritto: in molti casi, già l’apertura di una vicenda giudiziaria, con i notevoli costi economici e sociali che essa comporta, equivale a una condanna, anche se poi la persona in questione magari risulta innocente.

Si può avere il massimo rispetto per la magistratura e per la sua intoccabile indipendenza e nel contempo ammettere che qualche problema con la giustizia in realtà esiste: il più evidente è senza dubbio l’abnorme lunghezza dei processi, che gli stessi magistrati hanno più volte indicato come vulnus.

In questo scenario, c’è un problema che rimane irrisolto, al di là dei mutevoli atteggiamenti che i vari leader politici possono assumere di volta in volta: come comportarsi quando una carica pubblica viene interessata da una vicenda giudiziaria che, almeno potenzialmente, ne mette in dubbio la credibilità?

Nel caso di un privato cittadino, deve necessariamente prevalere la presunzione di innocenza, che viene meno solo a sentenza definitiva. Ma se la persona in questione si occupa della cosa pubblica, c’è un evidente conflitto tra il suo diritto di privato cittadino e l’interesse della collettività, che consiste nel tenere lontano dai ruoli pubblici anche i minimi sospetti di condotte illecite. Quale di questi due interessi, ugualmente da tutelare, è prevalente? 

Affidarsi interamente alla giustizia non è possibile, sia per la già citata questione dei tempi, sia perché anche le sentenze definitive possono essere discusse, anche se ovviamente vanno rispettate. Quindi anche chi non approva la “svolta-Uggetti” ha le sue buone ragioni nell’avanzare critiche nei confronti della condanna a Chiara Appendino per i fatti risalenti alla finale di Champions League del 2017 (e mi riferisco sempre all'ottimo Travaglio): il fatto che la Sindaca di Torino venga considerata responsabile degli incidenti scoppiati di fronte al maxischermo che trasmetteva Juve-Real Madrid viene portato a paradigma di come oggi ogni primo cittadino faccia del rischio il proprio mestiere e, quindi, di come stia diventando difficile reperire persone di livello disposte a sobbarcarsi questo servizio pubblico.

Gli esempi potrebbero proseguire a lungo, con nomi di tutte le estrazioni politiche: il problema è ormai ineludibile, ma la soluzione è difficile da individuare. Quando deve scattare il “cartellino rosso” per i politici? All’avviso di garanzia? Alla condanna di primo grado? A quella definitiva? Per tutti i reati o solo per alcuni?

La risposta non può che essere in una legge specifica che codifichi queste fattispecie senza che sia più possibili fare figli e figliastri a secondo dell’appartenenza e della convenienza politica. La Legge Severino ha iniziato a mettere un po’ d’ordine, seppure tra molti dubbi, ma la strada è ancora lunga. E, francamente, è pure in salita: una classe politica in piena crisi di credibilità farà molta fatica a stabilire regole chiare sulla propria agibilità. Anche per questa debolezza ci si lascia guidare dalle decisioni della magistratura, a tutto danno della tripartizione dei poteri che caratterizza le democrazie moderne.  

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