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Politica
Governo, Draghi a casa se Conte lo molla. Il Pd non ci sta, elezioni a giugno
Camera dei Deputati 

Spese militari, rischio scissione nei 5 Stelle. Di Maio e Patuanelli stanno con Draghi


Mario Draghi e Sergio Mattarella tirano dritto. Senza se e senza ma, l'impegno preso dall'Italia con gli alleati della Nato, Stati Uniti in testa, di aumentare al 2% le spese militari vanno onorati. Il tema, però, fa alzare la temperatura all'interno della maggioranza. Tanto che ieri in serata il premier è salito al Quirinale per aggiornare il capo dello Stato, dal quale ha ottenuto il sostegno ad andare avanti sulla linea tracciata. Il problema, come noto, sono i 5 Stelle. Giuseppe Conte ha certamente utilizzato toni più soft dopo aver incassato con il 94% la riconferma a leader del Movimento, ma l'incontro di ieri a Palazzo Chigi con Draghi è andato male.

L'insistenza dell'ex presidente del Consiglio nell'affermare che "le priorità sono altre", con l'intenzione di spostare avanti nel tempo l'incremento delle spese per la Difesa, non sono più affatto né a Draghi né a Mattarella. "Così viene meno il patto di maggioranza", hanno fatto sapere senza mezzi termini da Palazzo Chigi. Il Decreto Ucraina, nonostante l'ira dei 5 Stelle per l'odg di Fratelli d'Italia accolto dal governo e non messo ai voti, passerà senza problemi, probabilmente con la fiducia. Il vero nodo e passaggio chiave per il futuro dell'esecutivo sarà il Def, nel quale il governo potrebbe scrivere nero su bianco l'aumento al 2% del Pil delle spese militari, anche se Conte ha chiesto che il tutto venga rimandato.

Il Documento di economia e finanza, inizialmente previsto in Consiglio dei ministri per domani, arriverà sul tavolo di Palazzo Chigi il 5 o il 6 aprile dopo la messa a punto del Mef e della ragioneria. Ci sono ancora alcuni giorni, quindi, per cercare una faticosa trattativa. Dal Nazareno Enrico Letta ha fatto filtrare "forte preoccupazione" per la posizione del M5S, definita da fonti Dem qualificate "ideologiche e da campagna elettorale". Su un punto ci sono pochi dubbi. Anche se nel Pd ritengono che alla fine, in qualche modo, verrà trovata una quadra, l'eventuale uscita dei pentastellati dalla maggioranza segnerebbe la fine dell'esecutivo Draghi e della legislatura, con elezioni politiche probabilmente a giugno.

In primo luogo sarebbe poco praticabile un governo di unità nazionale senza la prima forza politica in Parlamento e, soprattutto, il Pd - come spiegano fonti Dem - "non accetterebbe di restare in un governo nel quale Lega e Forza Italia diventerebbero nettamente maggioranza nella maggioranza". Anche se i numeri consentirebbero sulla carta a Draghi di andare avanti, regalare al M5S 10-11 mesi di "facile opposizione" non conviene a nessuno. Né a Letta né a Matteo Salvini, che già ha i suoi problemi con Giorgia Meloni a destra. Infine, c'è anche da tenere conto della posizione filo-governativa in particolare di due ministri ex grillini: Luigi Di Maio e Stefano Patuanelli.

I titolari di Esteri e Politiche Agricole, che non condividono la posizione di Conte e della base M5S sulle spese militari, potrebbero opporsi all'addio all'esecutivo con una clamorosa frattura. Ma c'è anche da considerare Beppe Grillo, vero e forse unico leader del Movimento. E il fondatore non sta certo con Draghi visto che, solo per un esempio, il 29 gennaio 2014 denunciava: “Le spese militari diventeranno investimenti, è una truffa”.

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