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Politica
Governo, 5S-Pd in cerca di voti. E se fosse Conte a imporre il “suo” rimpasto?

Di Massimo Falcioni 

 

La fine di queste anomale vacanze estive preoccupa gli italiani che temono per la crescita dei contagi del Coronavirus e per l’acuirsi della crisi economica, con il Paese asfissiato dallo spread e senza una strategia per la ripartenza. In questo quadro di crisi economica e sociale aggravate, fra meno di un mese ci sono due importanti appuntamenti con conseguenze per le famiglie e ripercussioni per le forze politiche e per lo stesso governo. Dal 14 settembre si riaprono le scuole dopo che il precedente anno scolastico è stato condizionato dall’emergenza Coronavirus. Il 20 e 21 settembre si apre una nuova stagione elettorale con il voto in sette regioni e 1184 comuni e il referendum sul controverso taglio dei parlamentari. Il recente balzo dei contagi già alimenta l’incubo della seconda ondata del Coronavirus con un nuovo lockdown e intacca ogni certezza mettendo in dubbio persino la riapertura delle scuole e l’effettuazione delle elezioni. C’è una situazione di precarietà perché il virus non è stato debellato e perchè le sue conseguenze economiche e sociali (tra la fine del 2020 e i primi del 2021 i fallimenti delle imprese aumenteranno del 37%) restano oggetto di forti speculazioni politiche. Ciò vale sia per le forze di opposizione (soffiano sul fuoco puntando alle elezioni politiche anticipate) che per quelle di governo (alimentano lo stato di emergenza per restare al potere). Lo stesso Conte – comunque oggi il massimo possibileper la garanzia minima distabilità politicariconosciuta anche a livello internazionale che eviti all’Italia di precipitare dalla padella alla brace – s’arrampica sugli specchi e volteggia sul trapezio. La stabilità è solo apparente perchè è priva di un progetto strategico, basata sul timore di una crisi che mandi “tutti a casa!”. La maggioranza in Parlamento è logora, verosimilmente minoranza nel Paese, costretta ad aggrapparsi all’emergenza  pur di evitare la mina del voto. Elezioni anticipate che, a meno di sconvolgimenti socio-economici prodotti dalla pandemia o da una debacle alle regionali (un 5 a 1 a danno dei partiti di maggioranza!), non ci saranno. Ci sarà, oltre alle amministrative,  il referendum, che con la (scontata?) vittoria del SI’ potrebbe poi fare danni come una pandemia. Le forbici brandite in piazza dal novello Robespierre Luigi Di Maio per celebrare il taglio dei deputati e senatori riporta al passato più buio e sa di sinistri presagi. Scelleratezza e trappola politica per lo stesso Partito democratico che per non lasciare una riforma populista in mano ai populisti sprofonda nel gorgo del populismo, diventando portabandiera del trasformismo e dell’antipolitica dilaganti, al pari dei grillini. Senza una adeguata legge elettorale, risicate e improvvisate maggioranze parlamentari  occuperanno le Istituzioni, sforbiciando la Costituzione, cancellandone via via le garanzie fondamentali. Dalla fine della prima Repubblica, inneggiando alla esigenza di distruggere la partitocrazia, si è giunti a una partitocrazia senza partiti. Si è cercato il “nuovo” nella continua semplificazione delle procedure, con conati di riforme istituzionali che hanno impoverito la democrazia accentuando il solco fra cittadini e istituzioni. Questo referendum, oltre a costituire una trovata per distrarre gli italiani dai problemi reali offrendo loro uno “sfogatoio” populista e demagogico, illusorio quanto pericoloso, è l’ultimo atto di quella ideologia dell’anti-politica di cui dai suoi inizi si è fatto portatore il M5S, oggi  accettata dal Partito democratico. Così il nemicodei cittadini diventa il Parlamento, facendo di “ogni erba un fascio”. Già visto. Un conto è eliminare privilegi e ridurre gli stipendi dei parlamentari, un altro è la sforbiciata spropositata degli stessi, con l’ulteriore declassamento del Parlamento e il consolidamento oligarchico di quelle “caste partitocratiche”. Il problema è la selezione e la formazione dei gruppi dirigenti e delle leadership e delle liste bloccate che consentono alle segreterie dei partiti di imporre i parlamentari formando così il Parlamento di “nominati”. Qui siamo. Con il M5s e il Pd che, oramai privi di identità e appeal elettorale, vedono le urne come una trappola. I 5Stelle pensano di non affondare insistendo sul tam-tam del populismo e dello scaricabarile. Zingaretti prova ad alzare la voce con Conte per dimostrare che il Pd c’è. Senza il coraggio di una richiesta di verifica politica sui contenuti e sui risultati, è solo un agitarsi propagandistico che al Pd potrà portare male già alle prossime regionali. Conte non ha la bacchetta magica e lo sa. E’ anzi costretto a muoversi su un campo minato, specie in economia, dove passata la sborniadegli Stati generali, restano i nodi del Recovery Fund (ancora da negoziare) con il rischio che si volatizzi e la ruota di scorta del Mes, con una parte della maggioranza contraria. Occhio! Perché in caso che Pd e M5S perdano penne (e potere) alle elezioni di settembre potrebbe essere Conte ad anticipare le mosse dei suoi partner e chiedere la “verifica” decidendo lui il “rimpastone” mettendo Zinga e Di Maio con le spalle al muro. Prendere o lasciare! Per il Pd e il M5S e le rispettive leadership sarebbe un colpo duro. Sarebbe la fine. 

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