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Politica
Green pass, Draghi sul banco degli imputati. Tutti gli errori del premier

Mario Draghi alla guida del cosiddetto "Governo dei migliori" ha perso il tocco magico in un sabato, quello scorso, di sottovalutazione e superficialità.  E nel mirino non c’è solo la linea del Viminale, dove ora, in vista delle prossime manifestazioni, si cerca di correre ai ripari rispetto agli errori inanellati: primo su tutti il mancato ascolto e monitoraggio per cogliere i segnali del territorio, ma anche la messa a punto di un piano di prevenzione ed eventualmente di risposta adeguata in termini di presidio. No, sul banco degli imputati c’è l’intero Governo e chi lo guida per aver nettamente sbagliato i calcoli e non aver preso le giuste misure rispetto alla frattura che si stava aprendo all’interno del Paese. Una frattura che rischia da domani, giorno di entrata in vigore del Green pass per accedere al lavoro, di trasformarsi in una voragine.

L’ultimatum all’indirizzo dell’Esecutivo partito dai portuali di Trieste - “Il governo ci ripensi o blocchiamo tutto” - può diventare una slavina che da Nord percorre tutto lo Stivale, fino a valle e cioè al Sud. Un blocco del Paese che anche in vista di un appuntamento importante come il G20 andrebbe evitato. E non solo per un problema di ordine pubblico. C’è da chiedersi se il presidente del Consiglio sia in grado o meno di comprenderlo. Forse è pretendere troppo da un uomo abituato a vivere tra i numeri, da un economista che si è mosso sempre nella stanza dei bottoni, che sia la Banca d’Italia o la Bce. Una cosa è certa il whatever it takes poteva valere per salvare l’euro, ma non può funzionare se adattato alla vita quotidiana di persone che si alzano all’alba ogni mattina e che ora devono misurarsi con nuovi ostacoli lavorativi.

Va bene la linea della fermezza, che ha consentito al premier fino a ora di “governare” le spinte contrapposte nel chiuso di Palazzo Chigi e di poter sempre mettere il sigillo finale su ogni riunione del Cdm, ma quando si tocca la carne viva della gente la musica cambia. L’intransigenza con cui il Governo ha deciso di regolare l’accesso al lavoro sia pubblico che privato, con il certificato verde obbligatorio che scatterà domani, rischia di rivelarsi un boomerang. Un errore di sottovalutazione grave, soprattutto alla luce delle avvisaglie di una tensione montante nel Paese.

Con il G20 alle porte, insomma, non proprio un bel biglietto da visita per questo Esecutivo. Roma sarà pure blindata per l’appuntamento del 30 e 31 ottobre, tra zone rosse e spazio aereo sotto controllo, ma le misure di sicurezza non potranno certo arginare un eventuale blocco degli approvvigionamenti con conseguenti razionamento della benzina e scaffali vuoti nei supermercati (visto che il più delle merci viaggia su gomma e la maggior parte die trasportatori è sprovvista di Green pass). Il rischio, insomma, è perdere la sintonia con il Paese. E le avvisaglie ci sono tutte. Lo iato che si sta allargando con i cittadini e che, paradossalmente, ai tempi del bistrattato Conte 2 non si era visto. Eppure, l’emergenza Covid aveva colto tutti di sorpresa. Ma nonostante l’impreparazione iniziale a reggerne l’urto, nonostante il pesante lockdown con intere categorie di lavoratori rimaste senza lavoro e con i sostegni non sempre tempestivi, mai si era neppure sfiorata una spaccatura sociale così profonda.

Il nodo qui non sono i vaccini. E’ evidente che siano l’unica arma di cui disponiamo nella lotta contro il Covid e per la ripresa dell’economia. Il cortocircuito, casomai, si è creato non rendendoli obbligatori. Complici anche i numeri della campagna vaccinale condotta dal commissario Figliuolo. Ma se la vaccinazione, per decisione del governo tutto, è rimasta facoltativa - quindi ogni cittadino può esercitare il diritto di sottoporsi o meno all’iniezione -, allora qual è la ratio in base alla quale l’esecutivo ha deciso di penalizzare i lavoratori sprovvisti di Green pass, finendo col ledere proprio il diritto costituzionale al lavoro?

La verità è che al d-Day di venerdì 15 ottobre si è arrivati impreparati. Le regole per i lavoratori pubblici e privati, con l’obbligo di vaccino o tampone negativo, lasciano aperte e irrisolte diverse questioni, a cominciare dai controlli per alcune categorie. Il caso di colf e badanti rimane tra i più eclatanti, come Affaritaliani ha segnalato sin da subito.

Senza contare, infine, che l’Italia oggi più europeista di sempre, sulla regolamentazione per  i lavoratori, Grecia a parte, è la più lontana dagli altri Paesi Ue. Nonostante vanti tassi di vaccinazione elevati (con l’80 per cento di popolazione immunizzata, ora si punta alla soglia di sicurezza del 90). Anzi, in alcuni casi, come in Francia si discute sull'abolizione del pass sanitario già dal 15 novembre. Per tacere della Danimarca che ha già cancellato tutti gli obblighi di pass. Non rimane, quindi, che sperare in un atto di resipiscenza da parte di Draghi. I segnali, dopo l’incontro con i sindacati di oggi, forse aprono qualche spiraglio. Certo, un’eventuale toppa servirebbe adesso. Solo sulla tempestività, il Governo può cercare di salvare il salvabile.

 

 

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