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Politica
Il mistero Giuseppi. Non basta vincere alla lotteria per guidare i ministri

Una volta chiesero a Henri Kissinger un’opinione sulla politica italiana e quel grandissimo politologo rispose che “non era sufficientemente intelligente per capirla”. Dunque da un lato siamo tutti autorizzati a non capirla, dall’altro non dobbiamo per questo pensare che siamo alla stessa altezza di Kissinger. E comunque, in fin dei conti, può anche darsi che la politica italiana, come l’origine del Male, sia una materia metafisica che va al di là delle capacità umane.

Per quanto mi riguarda, seguendo questi principi mi limito ad usare il buon senso e cerco così di evitare gli svarioni più grossi, Ma spesso anche il buon senso “mi lascia a piedi”, nel senso che le sue risultanze sembrano in conflitto con ciò che sembra evidente. Ad esempio, dal giugno 2018, quando è stato nominato alla carica che occupa ancora oggi, il buon senso mi dice che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte politicamente non è nessuno. È un professore di diritto che si trovava a passare per Piazza Colonna, zona pedonale in cui nessuno poteva impedire a questo distinto signore di camminare a pochi metri dall’ingresso di Palazzo Chigi. Ma farlo entrare e offrirgli la carica di capo del governo? Suvvia, non scherziamo. Per questo, anche due anni dopo, Giuseppi può spendere tonnellate di sussiego, può cambiare una pochette al giorno e darsi tutte le arie che vuole, rimane quello che era. Un passante. Non basta vincere alla lotteria per guidare i ministri.

Questo il messaggio del buon senso. E tuttavia da mesi i media si occupano di Conte come se fosse il Presidente del Consiglio dei Ministri. Lo ascoltano, lo intervistano, lo studiano. E lui approva e disapprova, minaccia e perdona. Parla ponderosamente in prima persona, appare continuamente in televisione e recentemente, addirittura, duella con Matteo Renzi. Non soltanto lascia nella penombra i lemuri dei Cinque Stelle ma anche il partito di Nicola Zingaretti, un Pd che, anche ad andar male, alle prossime elezioni è comunque destinato a sopravvivere. Tutto ciò stupisce. Ma il buon senso non riesce ad arrendersi. Quando Conte battaglia con Renzi si ha la sensazione di veder salire sul ring un pugile professionista e un attore che recita la parte di un pugile. Ma il tempo passa, i due rimangono lì a saltellare e nessuno è ancora andato knock out.

Per questo fenomeno anomalo si possono soltanto azzardare delle ipotesi e la prima è che Conte parli e si agiti tanto perché è un megafono. Può fare la voce grossa perché chi ne risponde è chi regge i suoi fili. Colui che gli ha ordinato di dire ciò che dice. Ma chi è questo burattinaio?

Per cominciare si pensa subito a Zingaretti, non perché sia un leader di spessore, ma perché non c’è nessun altro. I “grillini” pensano soltanto a non affogare, e quelli che agiscono – penso a Bonafede – sembra che collaborino ad un suicidio di massa. Dunque rimane Zingaretti. Ma anche riguardo a lui ci sono dei dubbi. Non sembra affatto che guidi il Pd. Basti ricordare che questo governo non era di suo gradimento e gli è stato imposto. Dunque bisognerebbe entrare nella pancia di quel partito, conoscere le sue intenzioni e le sue contraddizioni. Cose su cui neanche la Sibilla Cumana potrebbe fornire un credibile responso. Rimane soltanto l’attaccamento collettivo alla poltrona. Per questa interpretazione siamo dunque al capolinea.

La seconda ipotesi è che la visibilità fornita gratis a Conte abbia potuto fargli credere di avere a portata di mano un partito virtuale. Cioè un partito che non esiste ma potrebbe materializzarsi se soltanto il leader fischiasse l’adunata. Operazione riuscita a De Gaulle quando, nel 1958, fu richiamato al potere, e non riuscita a Mario Monti quando, finito il suo governo, creò un partito e si buttò in politica. Conte somiglierà a De Gaulle o a Monti? E quanto è azzardato, il suo calcolo?

In ogni caso, il professore sembra ignorare che, non appena divenisse un avversario politico, gli altri gli rovescerebbero addosso tutte le accuse, tutti gli insulti, tutti i sarcasmi che fino ad ora si sono ricacciati in gola, per amore del governo. O della poltrona su cui sono seduti. Se Conte cercasse di volare con le proprie ali, si accorgerebbe che è molto più facile cinguettare in gabbia che procurarsi da vivere sul mare, volando con le procellarie.

E dire che l’esempio del suo possibile destino Giuseppi l’ha sotto gli occhi. Oggi crede di poter strapazzare Matteo Renzi e dimentica che quello è divenuto sindaco di Firenze con le proprie forze, segretario del Pd, con le proprie forze, Presidente del Consiglio con le proprie forze e ciò malgrado oggi lotta per la sua sopravvivenza. Non solo la politica non è un pranzo di gala, come giustamente diceva Lenin, ma somiglia molto di più ad uno scontro fra gladiatori. E così il sedicente Premier ricorda quei fanatici che ad un certo momento, durante Milan-Inter, invadono il terreno di gioco, fino ad essere impacchettati e portati via dalla Sicurezza. Mentre i giocatori attendono pazienti che sia rimosso l’incomodo.

E tuttavia è triste non sapere che cosa avviene dietro le quinte. Un giorno potrei anche apprendere che tutte queste ipotesi sono totalmente sbagliate.

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