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Politica
Le regole tv di Beppe Grillo superano quelle di Maduro in Venezuela

E con questo suo ultimo diktat, complicato da capire, riguardo agli interventi televisivi dei suoi adepti Beppe Grillo ha probabilmente accellerato la trasformazione del Movimento 5 Stelle da lui stesso creato in un qualcosa di diverso. Al momento non ancora decifrabile.

Il decalogo, che ha sorpreso molti, prevede norme rigidissime per tutti i media che avrebbero l’ardire di invitare personaggi grillini in televisione. Sembra che nemmeno la televisione venezuelana di Nicolas Maduro o quella coreana del dittatore Kim Jong-Un possano fregiarsi di una serie di simili norme.

Forse in mancanza di copioni da studiare e presentare in qualche spettacolo, o forse in crisi da lockdown, il bravo comico genovese ha messo, nero su bianco, una serie di regole per chi vuole intervistare le punte di diamante del Movimento. Tra queste regole: nessuna interruzione e tempi liberi per i “sacri” interventi, inquadrature fisse senza lasciare spazio a videate in contemporanea con gli altri ospiti o “udite,udite” nessuna zoomata su particolari del vestiario utilizzato dal testimonial grillino del momento.

Praticamente l’ordine è: la libertà di intervista esiste ma non bisogna disturbare l’intervistato che arriva, fa una specie di monologo senza dibattito e saluta, se vuole.

Se un qualcosa del genere fosse venuta in mente (impossibile) alla leader di FDI Giorgia Meloni o al capo della Lega Matteo Salvini si sarebbe alzato uno tsunami di tutto il centrosinistra al grido di ‘dagli al fascista’. In questo caso, da quel settore, solo poche e contenute critiche.

Il motivo di tanto “low profile” potrebbe stare nel non voler disturbare il “De Profundis” che saluta, sommesso, il lento ma inesorabile dissolvimento del grillismo nella sua essenza primordiale e una modificazione genetica ancora da capire.

I Ministri pentastellati rimasti al Governo, sono stati messi o mantenuti (con grande diplomazia) in posizioni dove non possono fare danni. Uno su tutti, il pieno di buona volontà Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Pur essendo giovane e ordinato nell’aspetto molti si chiedono quanto peso possa avere un Ministro degli Esteri in un Governo dove il premier si chiama Mario Draghi? Praticamente, e con tutto il rispetto, lo stesso valore di un tre di picche quando la briscola è a cuori.

E non è finita perchè, all’interno del Movimento, si sta consumando una battaglia silenziosa e fratricida partita dal triste saluto  di Alessandro Di Battista, a quello meno triste ma più arrabbiato di Casaleggio che si trascina via la sua piattaforma Rousseau. Per finire con l’attesa del nuovo “leader maximo”, quel Giuseppe Conte accreditato di un potenziale di voti da far perdere la testa. Un potenziale che però, nell’attesa di una decisione precisa, si sta, giorno dopo giorno, ridimensionando.

Insomma una lenta ma inesorabile scivolata verso un qualcosa che assomiglia sempre di più ad una transumanza verso i lidi del Pd, mai come ora bisognoso di numeri e non di avversari dello stesso campo di battaglia.

In ogni caso quello di Grillo è sembrata l’ennesima conferma delle difficoltà che il Movimento sta vivendo.

Una crisi di identità profonda che potrebbe essere anche mortale, sia che arrivi il salvatore Giuseppe Conte, sia che (molto improbabile), non arrivi.

 

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