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Politica
Lega, i dubbi sulla nuova strategia: tono moderato o modalità citofono?

La Lega sta pensando a una nuova strategia. Come scrive il Corriere della Sera, la fase politica è completamente cambiata. A giudicare dal calendario, il sogno di tradurre quell’enorme consenso in scranni in Parlamento, è svanito. O forse è solo rinviato. Almeno fino all’elezione del prossimo capo dello Stato, a inizio 2022. A fine marzo c’è il referendum sul taglio dei parlamentari, poi vengono due mesi in cui di fatto non c’è legge elettorale perché bisogna rifare i collegi (operazione forse inutile se, come sembra, si cambierà poi di nuovo sistema). Nella tarda primavera di quest’anno si vota in sei Regioni e molti comuni, praticamente un “mid-term“;

In autunno è impensabile sciogliere le Camere perché c’è la Finanziaria. Si arriva così all’anno 2021. Sempre come scrive il Corriere della Sera, a metà dell’anno scatta il semestre bianco, periodo in cui la Costituzione vieta al presidente in scadenza di sciogliere il Parlamento, e sconsiglia di farlo un attimo prima, il che lascia aperta un’unica e breve finestra di opportunità per elezioni anticipate, tra gennaio e inizio primavera del 2021. La tattica della spallata al governo va dunque abbandonata. Serve una strategia di lungo periodo per quella che si sta trasformando in una guerra di trincea. La Lega si sta ponendo il problema di come usare questo tempo “per crescere”.

Esistono due direzioni. la prima è percorrere la strada che porta ai “luoghi dove si deve passare per governare”; accreditarsi cioè presso l’establishment italiano ed europeo come forza sovranista sì, ma di governo, cioè non eversiva della collocazione internazionale del Paese e della sua economia. La seconda esigenza è darsi una classe dirigente al Sud che non c’è, e che forse è anche il motivo per cui i voti che prende al Centro e in Meridione non sembrano per ora sufficienti a comandare nel centrodestra (e già successo in Calabria, può succedere in primavera in Campania e Puglia).

È dunque in corso un ripensamento. Qualcuno nel centrodestra deve lanciare un ponte verso il centro, e se non lo fa la Lega può arrivarci prima Meloni. Per questo stanno partendo telefonate e proposte di incontro a esponenti di vario calibro, del Nord e del Sud, di quella che può essere definita la galassia moderata. Lì c’è infatti ancora una porzione non irrilevante di consenso, ma anche di classe dirigente e di credibilità, in parte ancora attaccata a Forza Italia in parte già fuori, che non è affatto scontato si consegni a Salvini quando il partito di Berlusconi non ci sarà più (esito che sembra essere dato per scontato anche da suoi esponenti come la Carfagna). In quell’area inoltre c’è Renzi, considerato un concorrente, ma allo stesso tempo anche un alleato impossibile.

Dunque, si tratta di costruire qualcosa di nuovo. La Lega non può intraprendere un’operazione di rifondazione, e fare ciò che ha fatto il Pdl: c’è il blocco di un ceto politico nordista, carico di potere e successi, che non lo accetterebbe. I sovranisti non possono superare il sovranismo, almeno non finché non saranno al governo. Perciò è preferibile che la “cosa” nasca fuori, per poi portare in dote un capitale di credibilità. Sempre come scrive Antonio Polito del Corriere della Sera, “nessuno può mettere le braghe alla storia”. Anche se la legislatura sembra destinata a durare almeno fino al 2022, non è detto che duri pure questo governo. Le incognite sono due: la sua debolezza parlamentare alle prese con le grandi scelte (vedi prescrizione) e il buco di centinaia di parlamentari senza più partito che si può aprire in caso di collasso delle Cinque Stelle. Che farebbe il centrodestra se la situazione precipitasse?

Sempre secondo il ragionamento di Politi del Corsera, le ipotesi in discussione sono due. La prima è quella del governo istituzionale. C’è chi lo considera preferibile al governo attuale, non foss’altro per togliere alla sinistra le leve del potere. Se ne era fatto portavoce Giorgetti, ma la vittoria emiliana ha così ringalluzzito il Pd (anche nei sondaggi), da fargli ritenere che è meglio andare avanti così, drenando consensi dall’alleato di governo. La seconda ipotesi è la conquista di una fetta della diaspora pentastellata per dar vita a un governo di centrodestra+responsabili. È la strada suggerita da Berlusconi, che del resto l’ha già praticata in passato.

Ma è respinta senza appello da Salvini e ancor più da Meloni, sicuri di poter arrivare al governo con le elezioni. Come manovra politica è perciò impraticabile, ma come evento è sempre possibile: una crisi del Conte II e l’esplosione dei Cinquestelle potrebbero davvero risolversi in un nuovo governo più spostato a destra. Del resto questa legislatura ce ne ha già fatte vedere di cotte e di crude. La domanda è se Salvini vorrà e saprà condurre una operazione politica di accreditamento o preferirà continuare una lunga campagna elettorale (ciò che sa fare meglio) per altri due anni. La tentazione di restare in «modalità citofono» è forte: d’altra parte i sondaggi lo danno sempre lì, in testa su tutti, anche dopo la Disfatta del Pilastro e la Rotta di Bibbiano.

 

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