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Palazzi & potere
In Francia come in Italia gli intellettuali hanno smesso di capire il mondo

È uscito l’ultimo romanzo della filosofa, saggista, docente universitaria, editorialista de La Repubblica e autrice Michela Marzano, Idda, Einaudi editore. Un libro che racconta la storia di Alessandra, biologa italiana salentina che è fuggita da un passato doloroso e vive a Parigi assieme al compagno Pierre, la cui madre, Annie, è affetta dal morbo di Alzheimer. Un romanzo sulla memoria, sulla perdita dei ricordi, sulla ricerca dell’identità nonostante: ‘’Chi siamo quando pezzi interi della nostra vita scivolano via? Che cosa resta di noi?’’ (Idda, Michela Marzano) e sulla ricerca del passato per poter attraversare il dolore, rimosso, perché solo tramite questo passaggio si può diventare adulti consapevoli. Torna in mente, il chimico Redlaw, protagonista del romanzo breve ‘’L’invasato e il patto con il fantasma’’ di Charles Dickens, al quale il suo fantasma dà il dono che lui desidera più di ogni altro, cioè dimenticare il passato e i ricordi perché troppo dolorosi: ‘’La catena intrecciata di emozioni e associazioni, ognuna a suo modo alimentata e dipendente dai ricordi cancellati. Quelle se ne andranno’’. In‘’Idda’’ Alessandra recupera, attraverso un carteggio datato, i ricordi di Annie e grazie a questi anche se stessa. Poiché tutti siamo anche il nostro passato e il nostro atavico dolore e dobbiamo prima o poi fare i conti con le ‘’Ombre somiglianti a forme e facce venute dal passato, dalla tomba, dalle profondità dell’abisso dove le cose che sarebbero potute essere, e mai furono, continuano a vagare’’(Charles Dickens, L’Invasato e il patto con il fantasma). Abbiamo incontrato Michela Marzano, nata a Roma da genitori pugliesi, classe 1970, che vive e insegna a Parigi e con lei proseguiamo il nostro viaggio tra le personalità della cultura italiane che hanno scelto la Ville Lumière.

Come mai hai deciso di vivere a Parigi?

Sono partita per Parigi un mese dopo la mia discussione della tesi di dottorato presso la Normale di Pisa. Sono andata a Parigi per seguire un uomo che in quel momento pensavo fosse l’uomo della mia vita. Non avrei mai immaginato di lasciare l’Italia e trasferirmi in un altro Paese. Da piccola ero una di quelle che quando le amiche dicevano che volevano andare a vivere a Londra, a Parigi, a New York, o chissà dove, rispondevo sempre che sarei rimasta in Italia. Ho seguito quest’uomo con cui dopo è finita, ma questo poco importa. Dopo vent’anni, vivo ancora a Parigi.

Quindi ti sei trasferita per amore a Parigi.

All’inizio sì, che poi non era amore, ma poi ho trovato anche l’amore a Parigi, mio marito è parigino. Casa mia è Parigi. C’è stato soltanto il periodo in cui ero deputata e facevo su e giù con gli aerei tra Parigi e Roma. Se dovessi di nuovo scegliere, sarebbe sempre Parigi la mia città.

C’è qualcosa che ti fa soffrire vivendo fuori dal tuo Paese di origine, ti manca l’Italia?

Io soffro comunque, mi manca sempre qualcosa. Quando sono a Parigi mi manca l’Italia, mi manca Roma. Anche perché Parigi è bellissima, ma forse Roma lo è di più. D’altro canto, quando ero deputata e stavo spesso a Roma mi mancava Parigi. Io sono in una condizione che definisco ‘’tra’’: tra due Paesi, tra due lingue, tra due lavori. Questa condizione del ‘’tra’’ continuo ad abitarla, perché anche quando sono a Parigi c’è comunque un pezzo di me che pensa all’Italia, che sente in italiano, che vive l’italianità. Quando sono in Italia però c’è una calamita che mi riporta sistematicamente a Parigi.

Ti senti più italiana o francese?

Io mi sento molto italiana, tipicamente italiana. I francesi, per esempio, mi dicono che muovo molto le mani mentre parlo, oppure rintracciano sempre una traccia di accento italiano quando parlo francese. Sono profondamente italiana. Però mi sa che sto diventando anche un po’ francese con la puzza sotto al naso, se vogliamo dare una caratteristica ai francesi è quella. E, talvolta, quando arrivo in Italia ci metto un po’ di tempo a rilassarmi e a dirmi: calmati, siamo in Italia, puoi toglierti questa puzza sotto al naso tipicamente parigina.

 

C’è differenza tra lo spirito culturale parigino e quello italiano?

Venti anni fa sentivo una grande differenza, ora non più. Anche i francesi leggono poco, proprio come gli italiani, e, soprattutto, il famoso clima intellettuale non esiste più. Quando partecipo a un dibattito culturale, la differenza fra la Francia e l’Italia non la avverto più. Mi rendo conto che i programmi di cultura e politica francesi somigliano molto a quelli italiani, c’è la stessa aggressività. Come dico spesso, la Francia si sta italianizzando. Va smontata l’idea culturale di Parigi, è puro sentimentalismo. Inoltre, di questi tempi, a causa delle manifestazioni dei Gilets jaunes, le librerie sono sempre più vuote, gli editori si lamentano, proprio come accade in Italia.

 

Qual è la situazione politica che si respira in Francia?

Più il tempo passa, più sono convinta che avevo ragione quando dicevo ai miei amici francesi che la parabola del Presidente Emmanuel Macron sarà molto simile alla parabola di Matteo Renzi. Si sta verificando esattamente la stessa cosa. Così come la questione dei Gilets jaunes ricorda molto da vicino il 2013 politico italiano. I discorsi portati avanti dai Gilets jaunes sono molto simili ai discorsi iniziali del Movimento Cinque Stelle. I Gilets jaunes dicono che non sono né di destra né di sinistra e nel momento in cui vengono contattati oggi da Di Maio, gli rispondono: non vogliamo avere niente a che fare con voi, perché non siamo un partito politico, non siamo né di destra né di sinistra. Tutto questo mi fa sorridere, perché mi sembra di sentire il Movimento Cinque Stelle prima che si istituzionalizzasse. Dopodiché, la Francia istituzionalmente parlando ha una storia più radicata e più forte rispetto all’Italia, per cui non so come evolverà, ma in questo momento il malcontento nei confronti di Macron è molto forte e non credo che recupererà la situazione e il consenso.

Cosa pensi che accadrà alle prossime elezioni europee?

Credo che ci sarà un boom dell’estrema destra di Marine Le Pen. La situazione complessa europea richiede la partecipazione degli intellettuali, che si devono interrogare e devono ricominciare a pensare. Poiché il problema del crollo del pensiero critico in Italia, in Francia ma anche in Inghilterra, sta cominciando a dare i suoi frutti.

Gli intellettuali hanno avuto responsabilità nell’attuale assetto politico europeo?

Un’enorme responsabilità. Noi, mi inserisco anch’ io, abbiamo smesso di capire il mondo e abbiamo smesso di dare strumenti critici. Io sono felice di essere tornata a fare il mio lavoro a tempo pieno, cioè insegnare all’università, perché il mio compito è quello di dare strumenti critici ai giovani che saranno il futuro.

Rimpiangi il tuo periodo politico come deputata del Partito Democratico?

No. Sono contenta di averlo vissuto, sono felice di aver vissuto dall’interno i meccanismi, di aver imparato i meccanismi parlamentari. Sono soddisfatta di aver comunque dato cinque anni della mia vita al mio Paese, perché avevo bisogno di restituire qualcosa all’Italia essendomene andata subito alla fine del percorso universitario. Però sono felice di essere tornata al mio lavoro, perché sono convinta che sia un altro modo di fare politica. Io non ho smesso di fare politica, ho ripreso a farla nel modo in cui la facevo prima, cioè da un punto di vista di intellectuel engagé, per dirla alla francese.

Quanto la città influenza la storia che stai scrivendo e il tuo modo di raccontarla, per esempio in questo ultimo romanzo, Idda?

Moltissimo. Tanto è vero che di Idda, in cui c’è una parte tutta ambientata in Francia e poi una seconda parte completamente ambientata nel Salento, ho scritto la prima parte a Parigi, mentre la seconda nel Salento. Questo perché sono molto in osmosi con le persone e con l’ambiente che mi circonda, ci sono vantaggi e svantaggi, sono come una spugna. Avevo bisogno di essere in Francia e a Parigi per parlare di Annie, della Francia degli anni Quaranta e Cinquanta, essere su quei luoghi, ascoltare quella musica. Avevo bisogno di esserne impregnata. Quando poi sono arrivata alla parte salentina, ho avuto la necessità di essere in quella lingua, perché c’è l’ambiente ma c’è anche la forza della lingua. Anche se il libro l’ho scritto in italiano, il fatto di essere in Francia, di vivere in Francia e parlare in francese, mi permetteva di diventare io stessa Idda cioè Annie, quel personaggio e la sua storia.

Quali sono i tuoi luoghi dell’anima a Parigi?

Qualcuno mi potrebbe definire una radical chic per via dei luoghi che amo di Parigi, perché il mio preferito è il VI arrondissement cioè Saint Germain. Da questo punto di vista sono molto stereotipata. Sono arrivata a vivere dopo molti anni a Saint Germain, perché quando sono venuta a Parigi vivevo in un monolocale nel XVIII arrondissement. Dopo vent’anni, finalmente, vivo anch’io a tre minuti a piedi da Saint Germain che per me è il posto più bello di Parigi. Io sono a metà strada tra Place Saint-Sulpice, per me la piazza più bella di Parigi, e Saint Germain, il luogo più mitico. Sono esattamente dove volevo essere.

Di Roma, invece, qual è il luogo che più ami?

 I miei genitori vivono alla Balduina che non mi piace granché, io amo il centro delle città. Avrei voluto vivere nella mia zona preferita di Roma, ideale e idealizzata, il Pantheon.

Cucina francese o cucina italiana?

Non mi piace la cucina francese, perché la trovo pesante e monotona. La carne non è male anche perché la tagliano in maniera diversa dall’Italia e quindi la mangio in Francia. Tendenzialmente però mangio all’italiana, adoro la pasta che naturalmente in Francia non sanno cucinare. Sul vino si discute, grande querelle, perché mio marito, francese, finalmente riconosce la superiorità della  cucina italiana, ormai è convertito completamente, però sul vino resiste e continua a considerare il vino francese migliore.

 

Istruzione e università: quali differenze fra l’Italia e la Francia a tuo avviso?

In Italia avevamo un’università che era un’eccellenza, voglio dire che gli studenti che si laureavano e facevano il dottorato e poi andavano all’estero venivano considerati quasi dei geni, perché avevano una formazione solida, me compresa, rispetto alla formazione francese. Dopo diversi anni, l’università italiana è molto peggiorata. Nonostante ciò, ancora oggi la reputo comunque migliore di quella francese, ne parlo perché insegnando la conosco molto bene. Quando arrivano da me all’università i ragazzi del primo anno sono dolci, teneri, carini e ignorantissimi. Non sanno nulla, hanno una grande difficoltà a concettualizzare, a spiegare, a parlare. Dall’altro lato, in Italia la scuola è stata distrutta nel corso dei decenni, indipendentemente dal fatto che ci sia stato un governo di centrodestra o di centrosinistra, perché quando ero in Parlamento, ancora all’interno del Pd, la riforma della Buona Scuola non l’ho votata perché era pessima. Abbiamo distrutto un patrimonio.

Che idea ti sei fatta della gaffe diplomatica generata dalle dichiarazioni di Di Maio e Di Battista sul Franco CFA e sul colonialismo francese?

Macron e il suo governo fortunatamente non hanno preso sul serio i nostri politici, ha avuto una risposta contenuta, colma di disprezzo, perché hanno reputato il fatto frutto di macroscopica ignoranza. Sul colonialismo andrebbe affrontato un discorso serio, storico. In Francia fu l’allora Presidente Jacques Chirac a fare il discorso sulla Repentance, sul pentimento, chiedendo scusa per il passato della Francia, ma in questa rielaborazione della Storia i francesi sono più bravi, più capaci, più consapevoli della loro Storia e dei loro periodi bui rispetto a noi. Peraltro, fu ancora un francese, il filosofo e scrittore Pascal Bruckner nel suo saggio ‘’Il singhiozzo dell'uomo bianco’’ a parlare delle responsabilità e della malvagità dell’uomo bianco scrivendo che il Nord si è arricchito sottomettendo i popoli del Sud e si è sporcato delle più atroci colpe mai compiute: colonialismo e imperialismo.

In Italia andrebbero affrontati temi storici e rielaborazioni di periodi oscuri come il fascismo ma anche più recenti come il terrorismo degli anni Settanta.

 

 

 

 

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