Sindacati, torna la protesta. Pd assente. M5S “di lotta e di governo”? - Affaritaliani.it

Politica

Sindacati, torna la protesta. Pd assente. M5S “di lotta e di governo”?

Di Massimo Falcioni
 
C’è già chi, liberando la fantasia, parla di “primavera infuocata”, una riproposizione dell’”autunno caldo”, la svolta del 1968-69, la contestazione contro il potere, contro il sistema, contro il governo che dalle università uscì verso le piazze, le fabbriche, le famiglie. Oggi la realtà nazionale e internazionale è radicalmente mutata da allora.

I sindacati, in verità, sono in fermento con imminenti scioperi e manifestazioni di protesta contro il padronato e anche contro il governo.
Mercoledì 20 aprile i metalmeccanici dei sindacati di categoria di Cgil-Cisl-Uil incrociano le braccia per uno sciopero nazionale di 4 ore e tornano in piazza per piegare la rigidità di Federmeccanica sul salario e sbloccare il contratto dopo oltre sei mesi di negoziato e 14 incontri. Un mese dopo, giovedì 19 maggio, i pensionati confluiranno a Roma per una grande manifestazione nazionale in piazza del Popolo incentrata su rivalutazione, fisco, reversibilità, welfare, di fatto una dura protesta contro il governo.
Sono queste, insieme ad altre, iniziative di categoria che, senza risposte adeguate delle controparti, possono sfociare presto anche in uno sciopero generale nazionale, cui non mancherebbe l’adesione degli studenti, dei disoccupati, dei precari e degli scontenti di vario tipo e natura innescando una nuova stagione di proteste e di lotte.

Facile a dirsi. Mancano oggi i riferimenti politici e ideologici, i collegamenti fra rivendicazioni sindacali e politiche, quei fermenti anche culturali che quasi mezzo secolo addietro spinsero alla lotta con slogan consegnati alla storia: “il nostro Vietnam è in fabbrica”. E non c’è oggi una “questione operaia” intesa come baricentro della “lotta di classe”. Caso mai c’è  – ingigantita e  irrisolta - la “questione del lavoro”. E non c’è un sindacato pronto e adeguato a prendere la testa di un movimento portatore di interessi e  obiettivi di carattere generale. Tanto meno – a sinistra - c’è un partito o uno schieramento di forze politiche capaci di tessere alleanze e di portare a sintesi politica una lotta che parte da rivendicazioni prettamente sindacali. Anzi, con l’aria che tira – l’antipolitica, i nodi dell’immigrazione, della sicurezza, della globalizzazione ecc. - c’è una sinistra insignificante, settaria e parolaia e c’è soprattutto una destra chiusa e ottusa, strumentale, intenta a soffiare sul fuoco del malcontento facendo degenerare la situazione. E il Partito democratico? E’ nel profondo ristagno, con le due anime interne – quella renziana e quella delle minoranze – che moltiplicano i loro effetti negativi. La cosiddetta sinistra, galvanizzando i reduci dell’amarcord, tenta senza neppur muovere un dito, di farsi garante di una “continuità” con il passato quando la classe operaia rappresentava la bandiera della “diversità” comunista. E’ la classica operazione della lucidatura delle medaglie arrugginite o delle… baionette, in attesa del miglior tempo che verrà. All’opposto, il partito renziano, al governo del Paese e di tutto, più realista del Re, brucia i ponti con il passato della sinistra, cerca il ko del sindacato, in una inedita e contraddittoria cinghia di trasmissione  (alla rovescio), stavolta fra partito-governo- padronato, schiarandosi con Marchionne.

Così il “nostro” governo diventa il governo “nemico”, di fatto annunciando svolte e riforme di dubbia utilità, restringendo gli spazi di democrazia, allargando la forbice fra le classi sociali a danno dei più deboli, ammaliati solo con furbate e regalie come quelle degli 80 euro.  Pur muovendo da punti così diversi, i due pidì si ritrovano insieme in un pantano impedendo il rinnovamento reale del partito, della politica, del Paese. Questo Pd, quindi questo governo, è lontano dal Paese reale, incapace di saldare utopia e programmi innovativi reali e credibili, per nulla interessato a collegarsi con le nuove forme di conflitto e di antagonismo sociale, soprattutto quando queste si esprimono con la sempre più marcata sfiducia nella politica fino al sempre più vasto astensionismo elettorale. L’assordante silenzio del dissenso e il tam-tam delle lotte non permeano il Pd: per Renzi, Cgil e sindacati sono da rottamare, chi contesta è un “nemico” da isolare, chi protesta è un “gufo” da imbavagliare; per Bersani&C, oramai orfani di tutti e di tutto, chi mugugna o scende in piazza merita rispetto ma con un saluto da lontano perchè politicamente ingombranti, meglio starne lontano. Qui va posta una domanda: e il M5S? Può diventare, con la sua forza elettorale e il suo impatto nella società, un inedito interlocutore politico per la nuova stagione di lotte sindacali, addirittura in qualità di innovativo partito-movimento di “lotta e di governo”?

L’altro ieri in ricordo di Gianroberto Casaleggio il direttore di Affaritaliani.it Angelo Maria Perrino ha scritto: “ Gianroberto, il Paese ti deve molto. E molto ti devono tanti giovani italiani a cui hai regalato una speranza, un sogno, un progetto”. Vero. Quella speranza, quel sogno, quel progetto hanno il diritto di proseguire l’iter su internet ma anche il dovere di crescere scendendo in piazza, spalla a spalla, con gli altri. Senza chiedere permesso.