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Il Sociale
Riforma del terzo settore, ecco che cosa cambia

Due anni di strada, una consultazione pubblica, un Consiglio dei ministri, una miriade di convegni e conferenze, tre passaggi in Commissione nei due rami del Parlamento, con due votazioni in Aula alla Camera e una al Senato. Ventiquattro mesi dopo, la riforma del terzo settore (“che in realtà è il primo”, disse il presidente del Consiglio Renzi all’alba della vicenda) è finalmente diventata realtà. O meglio, è diventata legge delega, approvata in via definitiva ieri dalla Camera dei Deputati con 239 voti favorevoli (tutta la maggioranza), e 78 voti contrari.

Una norma attesa da decenni, salutata inizialmente con grande entusiasmo dal mondo del terzo settore, che poi ha raffreddato gli entusiasmi in un lungo braccio di ferro con governo e maggioranza per definire meglio alcuni aspetti, chiarirne altri, puntualizzarne altri ancora. Il lavoro di tessitura, incentratosi tutto dentro il Partito Democratico, è alla fine giunto in porto grazie anche alla “blindatura” del testo imposta dal governo, che non avrebbe sopportato di rivedere la riforma tornare ancora una volta al Senato per altre modifiche.

Le ambizioni sono tante, e dovranno ora trovare applicazione dentro i decreti attuativi che il governo è chiamato ad emanare entro i 12 mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge. Un arco di tempo ancora ampio, anche se il sottosegretario al Lavoro e Politiche sociali Luigi Bobba, che ha seguito l’intero iter fin dal principio, non ha mancato di sottolineare nel corso di questi mesi che l’esecutivo già stesse lavorando ai decreti, per vedere i quali non dovremmo quindi – con buona probabilità – aspettare il giugno 2017.

CHE COSA CAMBIA - Semplificare l’intero settore, definire il quadro di azione del cosiddetto “terzo settore”, che diventa ora una categoria giuridica (e non solo sociologica), armonizzare le norme dentro ad un Codice del terzo settore espressamente dedicato alle realtà di terzo settore, che entreranno a far parte di un unico Registro nazionale.

Nasce il servizio civile cosiddetto “universale”, aperto anche agli stranieri regolarmente soggiornanti, e si danno nuove regole all’impresa sociale, che avrà limiti meno contenuti, anche prevedendo la possibilità di una parziale distribuzione degli utili.

Capitolo, quello dell’impresa sociale, che è stato il più dibattuto nel corso di questi due anni, per i diffusi timori di scivolare dal non profit al profit, garantendo per giunta alle imprese sociali benefici fiscali negati invece alle altre imprese commerciali.

Dalla legge delega esce rafforzato il sistema dei CSV, i Centri di servizio per il volontariato, e nasce la Fondazione Italia Sociale, chiamata a favorire l’innovazione sociale ma anch’essa fortemente criticata dai detrattori.

Il testo blindato, alla fine, è passato, e il governo Renzi può legittimamente affermare di aver portato a casa un'altra, importante riforma. Saranno i decreti attuativi, e poi col tempo la realtà di tutti i giorni, a mostrare quanto di buono (o di cattivo) è stato fatto in questi due anni di cammino parlamentare. Da Redattore Sociale

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