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Ultimo aggiornamento: 17:34

"The Anatomy of Painting": l'ossessione della carne nella mostra di Jenny Saville a Londra

L'artista inglese protagonista di una importante retrospettiva alla National Portrait Gallery. Dipinti costruiti per accumulazione di strati, come fossero corpi: una verità carnale che rifugge ogni retorica

di Federico Ughi

"The Anatomy of Painting": l'ossessione della carne nella mostra di Jenny Saville a Londra

“La carne è la ragione per cui la pittura a olio è stata inventata”. Lo affermava Willem de Kooning. Una frase che torna prepotentemente in mente guardando all'opera di Jenny Saville. Che - molto più del maestro olandese naturalizzato statunitense - sembra aver voluto portare alle sue radicali conseguenze tale dichiarazione d'intenti. Ogni tela, ogni disegno, ogni strato di colore dell'artista inglese è un’indagine senza sconti sulla fisicità del corpo umano, sulla materia che lo compone, sulle sue deformazioni, ferite, trasformazioni. La retrospettiva "Jenny Saville: The Anatomy of Painting", attualmente in mostra alla National Portrait Gallery di Londra pone al centro proprio questa domanda, che si fa ossessione: cosa può raccontare il corpo? E cosa può raccontare un corpo rappresentato su tela? 

La mostra, curata da Sarah Howgate, raccoglie quarantacinque opere – tra monumentali olii su tela, carboncini e disegni intimi – e segue un percorso cronologico che parte dai primi anni Novanta, dopo la laurea alla Glasgow School of Art. È qui che Saville realizza "Propped" (1992), autoritratto (con licenza d'autore) fondativo in cui l’artista allora appena 22enne siede su uno sgabello con le mani che affondano nelle proprie cosce, in un gesto che sovverte ogni estetica levigata e rimette la carne al centro della rappresentazione. È quest’opera che convince Charles Saatchi a includere Saville nella mostra “Sensation”, facendone un punto di riferimento del gruppo degli Young British Artists. Allontanandosi della vocazione concettuale di molti colleghi, Saville sceglie la pittura. Pittura intesa come materia viva, processo fisico, esercizio più di accumulazione che di sottrazione.

Jenny Saville, Propped
 

L’attrazione quasi feticista per il corpo inizia dunque presto: Saville studia illustrazioni mediche, osserva dissezioni anatomiche, giunge persino ad assistere a interventi di chirurgia plastica. In queste esperienze coglie una verità che trasferisce nel gesto pittorico: la carne è fatta a strati, è manipolabile, sfatta, riformabile. E giunge una sorta di illuminazione: “Ho iniziato a pensare non solo all’anatomia del corpo, ma anche all’anatomia della pittura”, ha spiegato. Le sue stesse opere sono infatti costruite come corpi: per accumulazione di strati, per tensione di superfici, per sedimentazione di movimenti. Il colore è viscoso, stratificato, mai pacificato. 

Il peculiare "problema dei tre corpi" di Jenny Saville

Una operazione che sfida l'osservatore. In fisica è noto il "problema dei tre corpi": la difficoltà di prevedere il moto di tre corpi celesti poichè a causa della gravità, le loro orbite diventano caotiche e imprevedibili. Analogamente, quale traiettoria suggerisce Saville per i tre corpi sempre presenti nelle sue opere: il suo, protagonista nell'atto creativo della realizzazione del dipinto, quello del soggetto e quello del dipinto?

Procediamo per gradi lasciando momentamente in sospeso l'interrogativo. Per parlare di radici e di background. E delle affinità di Saville con artisti come Bacon e Freud. Spesso richiamate dalla critica, ma la differenza può essere anche netta. Jonathan Jones, sul Guardian, ha osservato che i disegni di Saville, tra maternità e intimità erotica, sono esplicitamente sensuali in un modo che Freud (Lucien) non avrebbe mai esplorato. I suoi carboncini e pastelli sulla maternità – come "Study for Pentimenti IV" – sembrano fluttuare tra nervose tempeste grafiche, immersi in una sensualità materica e inquieta. In questi lavori Saville si rifà apertamente a Michelangelo, a Leonardo, ma anche a Degas, cui rende omaggio specialmente in alcune scene di intimità domestica.

Ma è con la pittura che Saville pare poter esprimere al meglio la sua eccezionale sensibilità verso la materia che più la affascina: la carne. Le sue tele sono colossali, eccessive, invasive. Corpi che strabordano, seni che pendono, volti deformati e lividi, cicatrici, labbra gonfie, occhi storditi. Ripartiamo da  "Propped": la massa corporea si impone come una montagna carnale. Il dipinto, parte della serie commissionata da Saatchi, è una dichiarazione di guerra al canone estetico dominante ieri e più ancora oggi: non c'è idealizzazione, non c'è armonia. Solo verità carnale, ingombrante e sfacciata. Ancor più poichè autobiografica. Saville si inserisce nel solco di Rubens e de Kooning, ma lo fa esasperando la resa corporea, portandola al limite dell’astrazione. Il corpo è un martoriato campo di battaglia.

Jenny Saville, Drift
 

Altro esempio eloquente è "Stare", opera diventata celebre per essere stata utilizzata nel 2009 dalla band inglese dei Manic Street Preachers come copertina di un loro album. Rappresenta il volto tumefatto di un ragazzo – un’immagine così disturbante da essere bandita da diversi punti vendita. Saville ha tratto l’ispirazione da una foto medica e ha rielaborato il soggetto in toni che vanno dal verde oliva al rosso bruno. Il ragazzino è stato picchiato? Ha subito violenza? Impossibile sapere se quei segni rossi siano cicatrici o espressioni pittoriche. Il quadro non fornisce contesto, non spiega cosa sia accaduto. E - soprattutto - nemmeno importa. Nelle opere di Saville infatti non c’è compassione né condanna. Non c'è nemmeno narrazione o storytelling. "Stare" è un'opera che parla in modo eloquente senza bisogno di ricorrere a un setting, a una storia che impietosisca, incuriosisca, crei engagement. Ed ancora: in un’epoca dominata da filtri di bellezza e dall’estetica addomesticata dei social, i corpi di Saville possono apparire come una dichiarazione di resistenza. Ma non nel senso di una una stanca e facile retorica della body positivity. Non chiedono alcuna accettazione, non invocano inclusività. Sono, piuttosto, manifesti di una verità non negoziabile: il corpo è fragile, vulnerabile, rovinato, deformabile, abusato, imperfetto. E' semplicemente reale. E rivendica il suo essere disturbante.

Jenny Saville, Stare
 

"La normalità è noiosa, bello è solo ciò che possiede una goccia di veleno"

Certo, c'è una consapevole dose di provocazione. "La normalità è noiosa, bello è solo ciò che possiede una goccia di veleno", ha detto l'artista.  Ma tale ricerca dell'eccezione, dell'exemplum, non pare fine a se stessa. È piuttosto un modo diretto e materiale per suggerire un'idea. La personale soluzione di Saville al problema dei tre corpi. L'imperfezione è condizione originaria dell’esistenza. E sono le persone ad essere rotte, danneggiate, vulnerabili. In costante decadimento. Cotidie morimur, diceva Seneca. Moriamo ogni giorno. Vita e morte. Il nostro corpo è lo spazio che occupiamo tra questi due estremi. E la pittura, in quanto pratica fisica e sensoriale, è forse il mezzo più adatto per esplorare questo territorio. Osservando oltre la pelle, oltre le ossa, oltre l’anatomia. Fino al punto in cui la pittura si fa corpo. E il corpo, pittura.