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L'avvocato del cuore
Rapporto padre-figlio pessimo da anni, separarsi può essere risolutivo?

“Gentile avvocato, sono una madre e moglie esausta. Mio figlio Giacomo, di quasi 17 anni, ha un rapporto pessimo con il padre, da sempre. L’adolescenza ha sicuramente influito nell’aumentare i loro pretesti di lite, ma io ormai non riesco a gestirli più e per quanto cerchi di mettermi in mezzo e placarli, loro arrivano quotidianamente a urla e grida furibonde. Sono stanca. Per quanto non vorrei separarmi da mio marito, mi chiedevo se non fosse proprio questa la soluzione per calmare la situazione: magari andando a vivere in un'altra casa e non facendoli convivere, loro non litigherebbero più e io sarei “serena” e mi godrei entrambi, anche se “separatamente”. È una buona idea?” 

Gentile lettrice, Le dico subito che, così “giustificata”, la Sua non è la migliore delle soluzioni e, secondo me, oltre a questa strada ce ne sono altre percorribili.     
Ha mai pensato di far seguire Suo figlio e il padre da un terapeuta che possa aiutarli a gestire meglio la loro accesissima conflittualità?         
Comunque sia, se Lei deciderà di chiedere in Tribunale la separazione da Suo marito, è giusto che sappia quali sono i presupposti normativi.           

Anzitutto, La rassicuro del fatto che separarsi è, ovviamente, un diritto. Ed è un diritto garantito dalla Costituzione: infatti, secondo l’articolo 29, comma 2 della Costituzione, l'eguaglianza dei coniugi è il principio su cui si fonda il matrimonio. Laddove, quindi, viene meno il principio del consenso, viene meno il presupposto stesso che pone moglie e marito in condizione di parità nel matrimonio. L’articolo 151 del codice civile, inoltre, stabilisce testualmente: “La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugifatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all'educazione della prole.”        
Dunque, il “motivo” per il quale giustificare al Tribunale l’intenzione di separarsi, può essere individuato o nell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza o nel grave pregiudizio per l’educazione dei figli.           
Se, da una parte, il grave pregiudizio all’educazione dei figli si sostanzia nella crisi del rapporto tra i genitori che influisce in negativo sullo sviluppo della prole, dall’altra parte, l’intollerabilità della convivenza si può fondare davvero su “mille” motivi: per esempio, Suo marito L’ha tradita e Lei non riesce più a conviverci, Suo marito ha abbandonato il lavoro e lascia che Lei si occupi di tutto, avendoLe fatto perdere totalmente stima nell’uomo che ha sposato e con il quale non riesce quindi più a convivere. O ancora, come nel Suo caso, l’incapacità del marito e padre di rapportarsi al figlio, causando malessere continuo a tutti. 
Le preciso un aspetto: perché ci sia “intollerabilità” della convivenza è irrilevante la “colpa” dei coniugi, ossia la violazione dei doveri matrimoniali sanciti anche all’art. 143 del codice civile (fedeltà, assistenza morale e materiale, etc). Tali violazioni, semmai, potranno essere valutate ai fini dell’addebito; l’intollerabilità, invece, può anche essere la conseguenza di uno stato psicologico di “non sopportazione” indipendente dalla volontà di anche solo uno dei coniugi.           
A questo punto Lei potrebbe pensare, conoscendo ora l’articolo 151, che “indipendentemente dalla Sua volontà”, la convivenza è di fatto intollerabile, perché non vuole continuare ad assistere alle liti tra Suo marito e Suo figlio. E per me ha anche ragione. 

Le devo dire, però, che, recentemente, in un caso simile al Suo, la Corte di Cassazione ha ritenuto, confermando la sentenza della Corte d’Appello, che “i fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza” non possono essere costituiti dalle continue liti con i figli e tra i figli. Questo perché, secondo l’interpretazione dei giudici, i presupposti della separazione non possono essere ancorati ai figli, ma si ricollegano esclusivamente al rapporto di coppia, sia in quanto coniugi sia in quanto genitori.                       
PrecisarLe questo è fondamentale: Lei, infatti, ha affermato tra le righe di NON volersi separare da Suo marito e che pensa di farlo solo per “placare” le liti padre-figlio.      
Ebbene, presentarsi in Tribunale e chiedere la separazione per sedare la conflittualità tra figlio e marito, rischia di portare a una pronuncia, come recentemente avvenuto, che respinga la Sua richiesta di separazione perché difetterebbe il presupposto ex art. 151 c.c. 
Quello che, quindi, Lei dovrà dimostrare al Giudice della separazione è che il legame tra Lei e Suo marito - e non tra Lei, Suo figlio e Suo marito e/o tra loro due - è diventato intollerabile a tal punto da non riuscire più a proseguire la convivenza.                  

Secondo i Giudici, infatti, per potersi giustificare la richiesta di separazione tra i coniugi, “la situazione di intollerabilità della convivenza va intesa in senso soggettivo” e può dipendere anche solo dalla semplice disaffezione e il distacco emotivo di una sola delle parti, purché questa condizione psicologica ci sia.       
Prima, però, cara Signora, è necessario che scavi dentro di sé, per comprendere le reali ragioni che l’hanno spinta a pensare alla soluzione della separazione: se si tratta di sfinimento personale per una situazione irrecuperabile, che l’ha anche portata a perdere la stima nei confronti di Suo marito e del suo ruolo genitoriale, allora ben potrà promuovere ricorso giudiziale di separazione. 

 

*Studio legale Bernardini de Pace

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