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L'avvocato del cuore
Testimoniare in tribunale nel processo al proprio compagno è obbligatorio?

“Gentile avvocato, il mio compagno con il quale convivo da 13 anni è sotto processo per aver investito una donna mentre rientravamo a casa dopo una cena con degli amici. Penso che a breve mi chiederanno di testimoniare. Posso astenermi? Non potrei mai testimoniare contro di lui, sono preoccupata, potrei essere accusata di falsa testimonianza se fossi un po’ vaga nel raccontare?”

 

Le dinamiche del processo penale non interessano soltanto le parti, ma coinvolgono emotivamente anche i loro familiari, in particolare quando hanno assistito a una condotta illecita del congiunto e possono fornire un contributo considerevole ai fini dell’accertamento giudiziale dei fatti. Lo stretto legame che intercorre tra l’imputato e i suoi prossimi congiunti ha spinto il legislatore a introdurre una disciplina specifica per regolare, in queste situazioni, l’acquisizione della prova.

Da un lato, infatti, le esigenze inerenti all’accertamento della verità spingono verso l’obbligatorietà della deposizione, dall’altro è l’ordinamento a proteggere il familiare che, in ragione del vincolo affettivo che lo lega al reo, potrebbe avere interesse a non arrecargli, con le proprie dichiarazioni, un pregiudizio. In questa prospettiva, gentile Signora, va letto l’articolo 199 del codice di procedura penale che, derogando alla regola dell’obbligatorietà della deposizione testimoniale, prevede espressamente: “i prossimi congiunti dell’imputato non sono obbligati a deporre”.

La norma prosegue disponendo che il Giudice, a pena di nullità delle dichiarazioni, debba dare avviso ai prossimi congiunti della facoltà loro riconosciuta dalla legge di astenersi, chiedendo se intendono avvalersene.

D’altra parte, per rispondere alla Sua domanda, è necessario comprendere se i conviventi di fatto - come nel Suo caso- rientrino o meno nella categoria dei “prossimi congiunti” e se, di conseguenza, anche Lei non sia obbligata a deporre ai sensi dell’art. 199 c.p.p..

Partiamo dal presupposto che l’unica definizione di “congiunti” è quella contenuta nell’articolo 307 del codice penale che però non menziona i conviventi more uxorio, ma esclusivamente “gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti”. È anche vero, però, che un consolidato orientamento giurisprudenziale ha esteso l’applicabilità dell’esimente dell’art. 199 c.p.p anche ad altre forme di unioni familiari quali le convivenze di fatto, e cioè a quelle coppie che sono unite da vincoli affettivi, di solidarietà, di protezione e aspettative di reciproca assistenza.

A questo proposito, è fondamentale la pronuncia – in tema di convivenza di fatto – della Corte d’Assise di Torino, che ha assimilato, come presupposto per la facoltà di astensione dal testimoniare, la convivenza (è indifferente se sia costituita tra eteroaffettivi o omoaffettivi), ravvisando, anche in questi modelli alternativi di famiglia, la situazione psicologica determinata dal vincolo affettivo dalla quale trae fondamento la disposizione dell’art. 199 c.p.p.. Infatti, la ratio della esimente è proprio quella di non mettere il familiare del reo di fronte a un terribile aut-aut, ossia davanti alla sofferta scelta tra mentire o danneggiare inevitabilmente il proprio congiunto. Quindi, gentile lettrice, Lei potrà astenersi dal deporre ai sensi dell’articolo 199 c.p.p. e durante il procedimento, dovrà essere avvisata (dal Giudice) della facoltà di astenersi. Nel caso non venisse informata, tutte le dichiarazioni che Lei renderà in sede penale non saranno utilizzabili - vere o false che siano – ai sensi del 2 comma dell’art. 199 c.p.p. che ne prevede la nullità a causa del mancato avviso da parte del Giudice. Quindi, in ogni caso, Lei non potrebbe rispondere del reato di falsa testimonianza. In bocca al lupo!

*Studio legale Bernardini de Pace

 

 

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