Più cattivi e più disperati. Così paiono gli uomini a un anno esatto dal cominciamento dell'epidemia legata al coronavirus. Parafrasando Camus, con l'epidemia ciò che cambia realmente siamo noi; noi che stiamo ogni giorno di più perdendo quote della nostra umanità e che, per paura di morire, ci siamo convinti che rinunziare a vivere sia il bene sommo. A molti di noi quasi pare ormai naturale, fisiologico e irrinunciabile portare sempre e comunque una mascherina che copra il volto e il sorriso, oltre che trattare l'altro sempre e comunque come un virus rispetto al quale occorre immunizzarsi. Se a un anno esatto dall'inizio di quella che doveva essere un'emergenza temporanea non avete ancora compreso che si tratta in realtà di una nuova normalità e di un preciso metodo di governo delle cose e delle persone, allora siete decisamente irredimibili. Di più, siete gli schiavi ideali: quelli che amano le proprie catene e che, anzi, ritengono che esse siano salvifiche. Tutti coloro i quali appartengono alla mia generazione hanno indelebilmente scolpiti nella memoria i ricordi dei nonni che raccontavano loro di gesta più o meno eroiche dei tempi della guerra e della Resistenza. Quel che colpisce di quei ricordi e di quei racconti è, più di tutto, la incondizionata disponibilità a sacrificare la vita in nome di un bene maggiore, di volta in volta identificato con la libertà, con la democrazia, con la patria o, in non rari casi, con l'unione indissolubile di queste tre diverse determinazioni. Che cosa racconteremo noi, a nostra volta, ai nostri nipoti quando ci chiederanno del tempo in cui eravamo più o meno giovani? Diremo loro, con orgoglio, che per paura di contagiare e di contagiarci abbiamo sacrificato ogni altro valore? Racconteremo fieri ai nostri nipoti che, per sgominare un pericolosissimo virus dalla letalità dello 0,6 per cento, abbiamo messo in congedo tutte le libertà e le conquiste per le quali i nostri nonni avevano dato la vita? Ci gonfieremo d'orgoglio nel narrare ai nostri nipoti che, per combattere contro un nemico invisibile, abbiamo cancellato i pilastri della nostra civiltà, dagli abbracci alle strette di mano, dalle relazioni sociali all'istruzione in presenza? Saremo davvero soddisfatti di noi nell'enunciare alle nuove generazioni prodezze eroiche come il lockdown e il coprifuoco, i divieti di assembramento degni dei regimi e le delazioni innalzate a motivo di vanto?
Diego Fusaro (Torino 1983) insegna storia della filosofia presso lo IASSP di Milano (Istituto Alti Studi Strategici e Politici) ed è fondatore dell'associazione Interesse Nazionale (www.interessenazionale.net). Tra i suoi libri più fortunati, "Bentornato Marx!" (Bompiani 2009), "Il futuro è nostro" (Bompiani 2009), "Pensare altrimenti" (Einaudi 2017).
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