Lo sguardo libero
È finita la guerra in Iran. Gli iraniani che sognavano la libertà piangono

Ali Khāmeneī, dal 1989 guida suprema dell’Iran, carica che unisce autorità religiosa, politica e militare
La guerra in Iran è finita in meno di due settimane. Il Medio Oriente ha evitato una nuova escalation. Gli oppositori del regime iraniano – dentro e fuori dal Paese – non festeggiano. In molti, anche tra la stampa, si aspettavano un cambio di regime. Non è successo. Per ora il regime degli ayatollah rimane al suo posto, rafforzato dal racconto della “resistenza” contro il nemico esterno. La democrazia non è stata imposta.
La repressione continuerà
Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR), nel 2023 sono state eseguite 975 condanne a morte in Iran, la cifra più alta dal 2015. Nei primi mesi del 2025, le esecuzioni sono già 343, con un aumento del 75% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le vittime non sono solo criminali comuni: molti sono studenti, attivisti, minoranze etniche. Solo nel 2024, 108 baluchi e 84 curdi sono stati giustiziati per reati legati al dissenso politico. Nel carcere di Evin, simbolo del potere repressivo, si trovano almeno 15.000 detenuti politici. Le condizioni sono documentate da ONG internazionali come Amnesty International e Human Rights Watch: torture, isolamento, assenza di assistenza medica. L’attivista Narges Mohammadi, Premio Nobel per la Pace nel 2023, è stata picchiata in cella dopo aver protestato contro le esecuzioni. Secondo una stima diffusa da Iran Open Data, circa il 47% degli iraniani avrebbe subito una detenzione politica, e il 37% avrebbe almeno un familiare incarcerato.
La realpolitik ha vinto
Nessuna potenza occidentale ha voluto rischiare un Iran destabilizzato. È prevalsa la realpolitik. Donald Trump ha incarnato un approccio isolazionista. Ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare e imposto dure sanzioni, ma non ha mai sostenuto la società civile iraniana. Diverso il caso di Benjamin Netanyahu, che in più occasioni ha parlato direttamente agli iraniani: con video sottotitolati in persiano ha invitato il popolo a “scegliere la libertà” e opporsi al regime.
Iran, Turchia, Russia e Cina
Secondo il rapporto 2024 di Freedom House, che valuta il livello di libertà nel mondo, l’Iran è classificato come “non libero”, con un punteggio di 12 su 100. Non è un’eccezione. La Russia ha ottenuto 16 punti, con l’opposizione smantellata e la morte in carcere, nel 2024, di Alexei Navalny. La Cina raggiunge appena 9 punti: qui il Partito Comunista controlla ogni aspetto della vita pubblica e privata, milioni di uiguri sono internati nello Xinjiang e Xi Jinping ha eliminato i limiti di mandato nel 2018. Anche la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, formalmente ancora una democrazia, è oggi "parzialmente libera", con 32 punti. Dopo il golpe del 2016, oltre 150.000 persone sono state arrestate o licenziate. Nel marzo del 2025, il sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu, principale oppositore di Erdoğan, è finito in carcere con accuse di corruzione, frode, riciclaggio e presunto favoreggiamento del PKK.
La speranza dei giovani
La società civile non è però spenta. Giovani organizzano feste clandestine, ragazze si tolgono il velo, studenti condividono contenuti critici. Si registrano piccoli atti di sfida quotidiani, privi di organizzazione politica, ma reali. In un Paese dove ogni forma di dissenso è rischiosa, questo ha un valore concreto.