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Coronavirus
Covid, parla l'esperto Tritto: "Virus mutevole, i vaccini di oggi non servono"

Biosicurezza e virus, parla il presidente dell'Accademia degli scienziati dell'Unesco

Giuseppe (Joseph) Tritto, è un medico, urologo e microchirurgo, ricercatore di fama internazionale. È nato e vissuto in Puglia, ma ha lasciato l’Italia quando era ancora uno studente, subito dopo l’uccisione dello statista Aldo Moro, a cui lo legavano i natali ed una vicinanza di famiglia.

L’indignazione fu tale che il giovane Giuseppe Tritto, figlio del penalista che aveva tentato di mediare con le brigate rosse ed il governo per il rilascio di Moro, partì per una formazione all’estero. Il suo sguardo e la  conoscenza di tante culture diverse e di un network scientifico internazionale davvero invidiabile, lo hanno portato oggi a rappresentare come presidente esecutivo la WABT (World Academy of Biomedical Technologies), la prestigiosa Accademia scientifica sotto l’egida dell’Unesco.

Il medico e ricercatore pugliese ha anche ottenuto in patria, su indicazione del presidente Giorgio Napolitano e con il placet di Mario Monti, il prestigioso riconoscimento di Ambasciatore del Meridione dalla Fondazione Guido Dorso, ma non ama essere diplomatico, quanto dire le cose che conosce, la sua mission è chiedere più etica e rigore nella bioricerca per la biosicurezza  e la incolumità di tutti i cittadini.

Professore, lei nell’agosto 2020 è stato il primo a scrivere un libro denuncia sul Covid 19,  la chimera che ha cambiato il mondo, con l’editore Cantagalli, ne è ancora convinto?

Si, certo è chiaro che questa pandemia è stata scatenata da un virus potenziato in laboratorio, che ha innesti di virus diversi, tra cui l’HIV. Lo aveva detto con molta chiarezza e fonti certe Luc Montagnier, lo sappiamo. Esistono nel mondo oltre 350 laboratori che sono anche civili, non militari, ma che potenziano i virus per studiarli, proprio come a Wuhan, dove i cinesi, gli americani ed, inizialmente, anche i francesi avevano condiviso alcune ricerche sui pipistrelli (studio sul potenziamento delle funzioni dei virus).

Purtroppo, però, tutti questi laboratori sono ad alto rischio, a causa della sicurezza e perché non sono conformi alle autorizzazioni e non vengono controllati con rigore. C’è infine un’altra questione cruciale: quando si fanno i potenziamenti di funzione, contemporaneamente va cercato l’antidoto, nel caso del Sars Cov 2, si sono utilizzati, come tali, farmaci sperimentali ad mRNA, (non propriamente dei vaccini) imperfetti, perché non bloccano il contagio e perché ci sono molti interrogativi sulla degradazione della spike, a distanza di tempo, che ci preoccupano. Quando si fanno ricerche così rischiose è doverosa la doppia filiera di ricerca, ma su questo non esiste ancora una normativa internazionale. Per questo è improcrastinabile creare un framework che ne discuta al più presto alle Nazioni Unite.

Cosa prevede per il futuro della pandemia, ormai endemia da Sars Cov 2?

Gli algoritmi hanno previsto in laboratorio molte possibili mutazioni. Questi coronavirus sono rapidissimi nel mutare, per questo i cosidetti vaccini oggi disponibili non servono. In autunno, ma lo vediamo già ora, si teme un’ altra recrudescenza: i virus potrebbero ricombinarsi, ma non sappiamo se in forme più o meno gravi. Dobbiamo fare subito qualcosa, senza paura, ma con raziocinio e programmazione.

Cosa si dovrebbe fare?

La strategia dev’essere quella di monitorare sempre le forme virali dei malati da Covid 19, va capito che mutazione ha avuto il virus, per isolare le nuove combinazioni in tempo utile e limitare i danni. Il virus di Wuhan, per intenderci, non esiste più. Ora ci sono mutazioni molto rapide ed il rischio è che si ricombinino tra loro anche in forme gravi, inaspettate o, magari in forme più lievi. La clinica dovrebbe lavorare a braccetto con la genomica e la biomedicina. La medicina moderna deve essere preventiva e predittiva, in Italia questa strategia è debole o manca del tutto. I francesi ed i tedeschi sono più organizzati, dobbiamo farlo anche noi.

Quindi quale monito possiamo dare agli italiani?

Dobbiamo puntare tutto sull’approfondimento della immunità naturale, che va potenziata. Per capire cosa davvero ha fatto il Sars Cov 2, occorre osservare con metodo i pazienti long covid, i vaccinati che hanno avuto, tutti, un indebolimento delle proprie risorse immunitarie innate (effetti noti dei vaccini e della spike) e valorizzare gli studi sui non vaccinati, che non si sono ammalti. Tutti e tre questi gruppi possono darci informazioni importanti per il futuro. Nel frattempo, occorre dosare la vitamina D, e fare una profilassi, monitorata dal proprio medico, per stimolare il sistema immunitario. La vitamina D3, ad oggi,  è uno scudo formidabile, soprattutto per alcune mutazioni ed è l’unico su cui abbiamo evidenze empiriche importanti.

Dove si sta spingendo la farmaceutica del futuro?

Si sta parlando molto del panvaccino, che possa coprire almeno dieci forme della spike, un numero oggi simulato al computer, ma occorre tempo, mentre il virus muta più velocemente e la ricerca lo rincorre. Per questo restano due strade: mettere a punto un antivirale molto potente per le forme gravi oppure stimolare e conoscere meglio l’immunità naturale. Su questa questione davvero strategica, a Parigi, in giugno stiamo organizzando un convegno per mettere insieme tutte le conoscenze ad oggi disponibili, mentre a Londra abbiamo costituito una Fondazione per lo studio dell’immunità naturale.

Cosa avremmo dovuto capire dalla brutta esperienza di questa pandemia?

La Covid 19 non è la malattia infettiva più grave che ci sia, anzi è poco letale, ma va studiata e capita ancora meglio. La salute è un bene da non delegare a nessuno: ogni singolo cittadino deve essere il proprietario e padrone incontrastato dei propri dati sanitari e genomici e deve poter scegliere sulla base di informazioni reali e trasparenti. Questo, temo, sia la vera mission da perseguire: la trasparenza e l’etica rigorosa nella ricerca scientifica. Su queste due questioni i cittadini non devono perdere il controllo e l’attenzione. Io mi sto impegnando per l’open health banking. I nostri dati personali e la conoscenza dei farmaci ad alta tecnologia o  dei vaccini deve essere aperta, chiara, documentata, ma la scelta va lasciata alla singola persona, non ai governi. I big data e l’intelligenza arificiale sono già il presente della medicina e della sanità del futuro, ma l’opzione deve essere della singola persona, non di big pharma, né dello stato.

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