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Coronavirus
QCOVID,nuovo strumento diagnostico.Prevede la probabilità di prendere il virus

Si chiama QCOVID ed è uno strumento diagnostico in grado di prevedere la probabilità che un paziente sperimenti una forma grave dell’infezione da SARS-CoV-2. Tra i fattori più predittivi rientrano l’età, il peso, l’etnia e la preesistenza di malattie croniche. Descritto in un articolo pubblicato sul British Medical Journal, il sistema è il risultato di uno studio degli esperti dell'Università di Oxford, dell’Università di Nottingham e del New and Emerging Respiratory Virus Threats Advisory Group (NERVTAG), che potrebbe essere utilizzato nello sviluppo di un programma mirato di schermatura e immunizzazione della popolazione.

QCOVID ha rilevato che il 5 percento della popolazione più a rischio rappresenta il 95 percento di tutti i decessi attribuiti a COVID-19 – sostiene Chris Whitty, epidemiologo dell’Università di Oxford – questo suggerisce che gli sforzi per proteggere questa percentuale di popolazione ridurrebbero significativamente il tasso di mortalità generale, consentendo al contempo al resto della società di tornare alla normalità”. Il team ha elaborato un sistema in grado di tenere conto di fattori come età, etnia, condizioni di salute, peso corporeo e caratteristiche generali. “La nostra speranza è che l’algoritmo venga utilizzato dai medici di base per identificare i pazienti che necessitano di maggiore protezione – osserva l’esperto – o per redigere un elenco di priorità di somministrazione del vaccino”. L'algoritmo è stato realizzato utilizzando i dati relativi a sei milioni di persone, di età compresa tra 19 e 100 anni e 4.400 pazienti deceduti a seguito dell’infezione da nuovo coronavirus. Le informazioni hanno costituito la base del sistema, testato su 2,2 milioni di persone contagiate durante la prima ondata di pandemia, per verificare la gravità dell’infezione e l’esito della malattia. Gli autori affermano che l’algoritmo è stato in grado di prevedere con successo la maggior parte dei 2.340 decessi avvenuti durante la fase di test. “L’età è il principale fattore di rischio – riportano gli studiosi – tra le persone risultate positive a COVID-19, gli ultraottantenni hanno una probabilità di decesso circa settanta volte maggiore rispetto ai pazienti under 40. Allo stesso tempo, anche il sovrappeso o la preesistenza di malattie di base legate a diabete, problematiche cardiache o polmonari, possono incidere sulle manifestazioni dei sintomi”. Il rischio di decesso risulta inoltre più elevato per i gruppi di etnia nera o asiatica e, secondo gli scienziati, la genetica può giustificare solo in parte le disparità esistenti, che dipendono anche dallo stato socioeconomico e alle attività svolte. “Abbiamo preso in considerazione tutti questi fattori – afferma Whitty – per realizzare QCOVID, che rappresenta uno strumento di indagine per approfondire il livello di minaccia di COVID-19 nei vari soggetti. Man mano che si apprendono nuove informazioni sul virus e la sua natura, la valutazione del rischio diventa più puntuale e precisa”. Secondo l’autore, uno strumento come QCOVID potrebbe amplificare la capacità di prevenire l’infezione nei soggetti che sarebbero estremamente vulnerabili. “Questo sistema fornirà informazioni più puntuali ai medici di base – commenta Julia Hippisley-Cox dell’University of Nottingham, che ha guidato lo studio – che potranno consigliare la procedura di immunizzazione ai pazienti più a rischio”. I risultati del gruppo di ricerca mostrano che il 94 percento delle persone decedute a seguito di COVID-19 rientravano nel primo 20 percento dei soggetti considerati a rischio di morte, mentre il primo 5 percento delle persone selezionate a rischio rappresentavano circa il 76 percento di tutti i decessi COVID-19 registrati

“Tra i decessi che abbiamo analizzato – aggiunge la scienziata – i nostri dati indicano una prevalenza del 57 percento di uomini, 17 percento di etnia nera o asiatica, 83 percento di ultrasettantenni, 32 percento di diabetici di tipo 2 e 30 percento di soggetti associati a demenza”. Gli autori riferiscono che il modello mostra una precisione del 45-58 percento nel prevedere la possibilità di ricovero. “QCOVID rappresenta un robusto modello di previsione del rischio – commenta Hippisley-Cox – per fare un esempio, un uomo africano di 55 anni con diabete di tipo 2 e BMI di 27,7 (Indice di massa corporea corrispondente al sovrappeso) ha una probabilità di circa dieci volte superiore a un uomo bianco della stessa età con un BMI di 25. Ulteriori indagini ci permetteranno di valutare i modelli in set di dati più estesi”. Lo scienziato precisa che il modello sviluppato è progettato per essere applicato alla popolazione adulta, in modo di stratificare il rischio e applicare le misure di contenimento della pandemia adeguate alla situazione. “Una conoscenza più profonda dei rischi potrebbe permettere alle persone di prendere decisioni più mirate – afferma Mark Woolhouse, dell'Università di Edimburgo – questo documento è un punto di riferimento importante nella nostra comprensione del rischio COVID-19 e apre la strada a una maggiore enfasi su risposte mirate e basate sul rischio per la gestione della minaccia per la salute pubblica nei prossimi mesi”. In un editoriale collegato, gli esperti dell’Università di Manchester sottolineano l’importanza di considerare le valutazioni come un presidio in grado di coadiuvare gli sforzi di sanità pubblica, piuttosto che un vademecum assoluto per la valutazione del rischio “I modelli per la prevenzione del rischio necessitano di aggiornamenti continui – osservano i ricercatori – sebbene i predittori di rischio siano utili e avanzati, l’interpretazione delle previsioni deve avvenire con estrema cautela. Il modello ad esempio non tiene conto di fattori chiave come il tasso di infezione nella zona in cui si trova il paziente o il tipo di attività svolta. Lo sviluppo di un modello valido ed estremamente affidabile per prevedere il rischio di morte delle persone infette non è ancora possibile”.

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