Asia Vitale inizialmente consenziente, la nuova versione choc. L'analisi dell'esperta: "La ritrattazione non cancella il reato" - Affaritaliani.it

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Ultimo aggiornamento: 19:37

Asia Vitale inizialmente consenziente, la nuova versione choc. L'analisi dell'esperta: "La ritrattazione non cancella il reato"

Intervista alla psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi

di Arianna Conti

L’analisi della psicologa  Maria Rita Parsi: “Il vero problema è che non c’è educazione sessuale”

È Asia Vitale, la giovane che aveva denunciato sette ragazzi per stupro di gruppo a Palermo tra il 6 e il 7 luglio 2023, a tornare al centro dell’attenzione mediatica. Nel corso di un servizio de Le Iene, la ragazza ha ammesso per la prima volta di aver mentito ai giudici sulla prima parte della vicenda, affermando di essere stata “inizialmente consenziente”.

Un’ammissione che potrebbe riscrivere la narrazione processuale e che solleva interrogativi profondi: quanto può influire la pressione mediatica sulle scelte della vittima? E quanto sono frequenti, nei casi di abuso, i ripensamenti o i racconti contraddittori dovuti a traumi psicologici profondi, sensi di colpa o condizionamenti esterni?

A fare chiarezza è Maria Rita Parsi, psicoterapeuta, scrittrice e membro dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, che ai microfoni di Affaritaliani ha analizzato le dinamiche psicologiche che possono svilupparsi nella vittima in contesti tanto delicati e complessi.

Quanto può aver influito la pressione mediatica sulla scelta di ritrattare la denuncia iniziale? Quali sono le possibili conseguenze psicologiche di questo tipo di esposizione?

“Oggi più donne trovano il coraggio di denunciare abusi e violenze, ma non tutte. Quando una giovane accusa non un singolo, ma un gruppo intero, è evidente che ha subito un trauma profondo. La denuncia può nascere da un’urgenza interiore – dolore, indignazione, bisogno di giustizia – ma anche da paura di essere esposta pubblicamente, magari attraverso foto o video non consensuali.

La ritrattazione parziale potrebbe essere frutto di una pressione esterna o di minacce. In ogni caso, serve prendersi cura di questa ragazza: ascoltarla, capirla, non giudicarla. Non si tratta di sminuire le sue parole, ma di approfondirle clinicamente. Una persona che prima accusa e poi corregge il proprio racconto potrebbe essere in grande sofferenza, o potrebbe essere stata indotta a cambiare versione. Va ascoltata, protetta e valutata con strumenti psichiatrici adeguati”.

È frequente che una vittima di violenza possa modificare o contraddire la propria versione dei fatti come forma di autodifesa psicologica?

“Sì. Se una persona dà inizialmente il consenso e poi, nel corso dell’evento, ritratta, dice no, e quel no non viene ascoltato, è comunque una violenza. Cambiare versione può essere una forma di autodifesa, un tentativo di proteggersi dal giudizio sociale, dalla vergogna o dalla colpa. Ma questo non cancella la responsabilità di chi ha ignorato il suo rifiuto”.

Quali elementi aiutano a distinguere un vissuto traumatico autentico da un racconto alterato da confusione, paura o condizionamenti esterni?

“Serve un’indagine clinica approfondita: ascolto, colloqui, test psicodiagnostici. Non si può giudicare solo da una testimonianza. Alcune persone, sotto forte stress o trauma, possono convincersi di versioni distorte o alterate dei fatti. È una scissione interna: il meccanismo psichico può generare un “doppio” dentro la persona, come in Dr. Jekyll e Mr. Hyde. Ecco perché serve competenza clinica, non opinioni affrettate”.

Alla luce delle recenti sentenze della Cassazione su casi di violenza sessuale, come si concilia il concetto di “consenso” con situazioni in cui la vittima appare ambivalente o contraddittoria nei racconti?

“Permettetemi di dirlo con forza: in Italia non esiste ancora un contesto che davvero sostenga e protegga le vittime di abusi. Denunciare è difficile, fidarsi della giustizia lo è ancora di più. È vergognoso quello che accade.

Il vero problema è che non c’è educazione sessuale. Nessuna. In questo Paese, dal dopoguerra a oggi, non siamo riusciti a introdurre un’educazione sessuale adeguata. Perché? Per paura di cosa avrebbero detto le famiglie, per la cultura cattolica, per ignoranza. E questo ci lascia impreparati, vulnerabili, incapaci di gestire la sessualità in modo sano e responsabile”.

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