Pandemia da Covid 19, polizze e premio: questo il tema economico e giuridico
Scuotto: "Nel vuoto del decreto legge 23 del 2020 l'aggravamento del rischio assicurato si trasfonde in aggravamento delle prestazioni sanitarie ordinarie"
La pandemia da Covid è imprevedibile e pertanto non può costituire un immediato aggravamento del rischio in campo assicurativo. Lo sostiene Gaetano Scuotto, avvocato cassazionista, fiduciario di alcune tra le principali compagnie assicurative, nell’analizzare le possibili conseguenze economiche in danno delle società di assicurazione, segnatamente alle polizze i cui rischi sono stati quotati in epoca antecedente alla odierna pandemia. “Non v’è dubbio che se ci riferiamo alle ipotesi tipizzate -per quanto possibile- dal codice civile e giurisprudenza, questa pandemia non può essere considerata un immediato aggravamento del rischio. Del vero, però, gli effetti negativi in via mediata presto o tardi emergeranno”.
“Le difficoltà nella gestione straordinaria del Covid-19, si trasfonde pedissequamente nella gestione dell’ordinario e questo, in termini di copertura assicurativa, significa aggravamento del rischio, pur senza che le compagnie incassino il proporzionale aumento del premio”, sostiene Scuotto, tra altro autore di numerose pubblicazioni in materia assicurativa e cultore di diritto sanitario presso l’Università Parthenope di Napoli. “Il decreto legge n. 23 dell’aprile 2020 non contiene le annunciate misure di contenimento volte ad argine le già sbandierate future azioni risarcitorie: questo si traduce, da un alto in implicito aggravamento del rischio, dall’altro espone le compagnie a dover, comunque, gestire un sempre crescente numero di sinistri che a lume delle pattuizioni non dovrebbero trovare copertura. Parallelamente permane la cosiddetta gestione ordinaria dei sinistri, il cui numero è in continua crescita per effetto -indiretto, anzi prima dicevamo mediato- dell’emergenza Covid-19. Pensiamo alla trasmissione del virus per via endonosocomiale (da paziente infetto a paziente sano), oppure alla sempre più faticosa gestione di situazioni cliniche che in tempi di pace, si sarebbero risolte e gestite senza alcun rallentamento, senza alcun differimento, senza alcun effetto pregiudizievole per il cittadino. È come una biglia su di un piano inclinato: tanto più trascorre il tempo, tanto più guadagna terreno, tanto più viaggia veloce, tanto più sarà difficile fermarla”.
Scuotto rileva che la pandemia “è di per sé imprevedibile ed in termini giuridici non può costituire ipotesi di aggravamento del rischio perché al tempo della sottoscrizione era una “non ipotesi prevedibile”: di converso, la responsabilità per il contenimento e/o la prevenzione, se sussistente, è da ricercarsi nella gestione politica della vicenda, è da ricondursi a chi, per posizione apicale, non ha posto in essere atti e/o fatti tali da impedirne la diffusione. Del resto -sottolinea il legale- è questo il principio che regola la responsabilità del datore ex art. 2087 cc (tutela delle condizioni di lavoro). La quotazione del rischio è sintesi di diversi elementi certi -o quanto meno ponderabili- e laddove in progress, è legata alla stessa fonte, alla stessa genesi ben nota, certa e conosciuta alle parti: oggi ci troviamo di fronte ad un evento che ha squilibrato il sinallagma contrattuale, in uno alle sue pattuizioni, trascinando con sé la causa del contratto (premio c/ copertura). Se si conoscevano gli effetti del virus, e non si è provveduto ad arginarli, non v’è motivo di gravare sulle compagnie. Se gli effetti non si conoscevano, non v’è, ragionevolmente, motivo di consideralo aggravamento del rischio. In entrambi i casi, una polizza ad hoc, sembra necessaria, e ciò anche per salvaguardare la tenuta dei premi precedentemente quotati in relazione alle polizze in essere”.
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