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Cronache
Accoglienza rifugiati, corto circuito: 4 su 5 in vacanza nel Paese d’origine

E’ giusto o è una truffa che il rifugiato, persona che non può tornare per pericoli reali nel Paese d’origine, poi ci vada in vacanza?

Metà dei rifugiati ucraini in Polonia prevede di rimanere a Varsavia a guerra finita. E’ questo il tema che attanaglia i Paesi europei e che farà presto capolino anche in Italia: fino a che punto un richiedente asilo o un rifugiato possa legittimamente rivendicare il bisogno di rifugio se può tornare nella patria di provenienza?

Secondo un recente sondaggio, quasi il 48% dei rifugiati ucraini in Polonia prevede di rimanere nel Paese per almeno un anno dopo la fine della guerra. Il 6% degli intervistati di rimanervi permanentemente, il 15% per diversi anni dopo la fine del conflitto e il 27% per almeno un anno dopo la fine dei combattimenti.

E secondo un altro sondaggio-studio commissionato dal giornale svedese Bulletin quasi 4 rifugiati su 5 che ora risiedono in Svezia sono andati in vacanza nel loro Paese d'origine da quando sono fuggiti in Europa.

I rifugiati non vanno confusi con gli immigrati per lavoro che in questi Paesi sono liberi di andare dove credono (e ognuno di questi Paesi ha quote dedicate a chi proviene da Stati extra UE). Per rifugiato si intende una persona che è fuori dal proprio Paese di origine e che non può o non vuole tornarvi per fondati motivi di discriminazione politica, religiosa, razziale, di nazionalità o per timore di persecuzioni. Non parliamo quindi di immigrati lavoratori.

Il sentiment diffuso in Europa è: se sei un rifugiato ti diamo aiuto, con ogni tipo di assistenza e servizio, non vieni conteggiato come quota migratoria, eccetera, ma se non lo sei e puoi tornare nel tuo Paese d'origine devi farlo e non pesare sul nostro servizio sanitario e sociale. Ma se torni in vacanza nel Paese l’origine come puoi convincere il Paese d’accoglienza di sentirti perseguitato dal tuo Stato di provenienza?

Il sondaggio svedese nasce dalla scoperta che 9 persone su 10 delle persone nate all'estero hanno trascorso le vacanze nel proprio Paese di nascita. E fin qui nulla di strano. Ma il dato diventa interessante quando la domanda si concentra sui rifugiati in Svezia che affermano di essere in fuga da guerre o persecuzioni.

Il sondaggio condotto dalla società Novus per conto del giornale Bulletin ha rivelato che il 79% di costoro sono tornati volontariamente nel proprio Paese d'origine dopo l’arrivo a Stoccolma.

Alla domanda se intendono tornare permanentemente nel loro Paese di nascita in futuro solo il 2% afferma di sì, mentre il 16% dice forse. Invece l'81% di coloro che sono arrivati ​​in Svezia da Paesi non europei afferma di no, principalmente perché credono che la Svezia sia un Paese migliore per crescere i propri figli.

Il tema dei richiedenti asilo che tornano nel loro Paese d'origine in vacanza, per vedere amici e familiari è diventato negli ultimi anni una questione politica tra gli svedesi. Non è quindi un caso la vittoria della destra nel Paese. Ma non solo in Svezia il tema è sentito, anche in altri Stati europei, con molti critici che ritengono che tale azione sia incompatibile con la richiesta dei rifugiati di sentirsi in pericolo, provenendo da un territorio di guerra e simili. Di fatto il sondaggio dimostra che i rifugiati, accolti in via eccezionale per motivi umanitari, si comportano come comuni immigrati lavoratori e vanno in vacanza nei Paese d'origine, ma non ci vogliono tornare a vivere, abituatisi agli standard di vita occidentali.

Un tema affrontato anche dall’opinione pubblica tedesca al punto che nel 2017 l’ex premier Angela Merkel sul giornale Welt am Sonntag espresse profonde critiche ai viaggi vacanza dei rifugiati nei loro Paese d'origine, affermando che il comportamento può essere interpretato come un mancato pericolo reale. Se un cittadino richiedente asilo va in ferie nel proprio Paese d'origine forse non corre i gravi pericoli che giustificano i provvedimenti di protezione e accoglienza eccezionali e “quindi quest’ultima andrebbe riconsiderata”, dichiarò la Merkel.

In questo senso nel 2019 una dichiarazione dell'allora ministro dell'Interno Horst Seehofer avvertì i rifugiati in Germania che avrebbero dovuto affrontare un'indagine e che potevano essere privati ​​del diritto di residenza se tornavano in patria. Ma le normative e le procedure di controllo in Germania come in Svezia non sono all’altezza della situazione reale vissuta dalla gente comune, soprattutto nelle periferie europee dove vengono concentrati i rifugiati.

Stessa storia in Norvegia dove il giornale Aftenposten ha riferito nel 2018 che il 24% degli immigrati dalla Somalia, il 40% degli immigrati dall'Afghanistan, il 55% degli immigrati dall'Iran e il 71% degli immigrati dall'Iraq si è recato regolarmente nel proprio Paese d'origine. Secondo Aftenposten, i dati erano stati prodotti dall'autorità statistica norvegese SSB. Una differenza con Bulletins/Novus è che i dati norvegesi rappresentano la proporzione di immigrati che soggiornano regolarmente in vacanza nel loro Paese d'origine, mentre i dati svedesi riportano coloro che hanno viaggiato almeno una volta.

L’agenzia svedese per l’immigrazione prevede che lo status di rifugiato possa essere revocato se si scopre che la persona non ha più bisogno di protezione internazionale dal proprio Paese di origine o se ha fornito informazioni errate su tale necessità.

Più restrittiva è invece la Svizzera, ma che è uno Stato extra UE, che non consente ai richiedenti asilo di tornare nel Paese d'origine per vedere i parenti o per andare in vacanza, se non in circostanze molto speciali. Se ciò accade, il rifugiato che è nato all'estero perde il diritto di continuare ad avere un permesso di soggiorno in Svizzera.

In Italia non ci sono dati sul fenomeno.

 

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