Culture
"Stato di legittima difesa". Il nuovo libro di Simone Regazzoni fa parlare

di Virginia Perini
Sembra impossibile, ma con il nuovo libro, Stato di legittima difesa (Ponte alle Grazie) il filosofo Simone Regazzoni ha "scaldato gli animi" a destra e sinistra più di quanto non fosse riuscito a fare con la critica agli "idioti della morale" di Sfortunato il Paese che non ha eroi e con la sua Pornosofia. Come mai? Perché questa volta ha toccato nervi scoperti della politica, gettandosi nel terreno delicato del terrorismo e scagliandosi contro le "solite condanne della guerra più o meno imperiale degli USA". Nel libro sostiene che la scelta americana operata da Bush, e portata avanti con forza da Obama, di rispondere con una nuova forma di guerra al terrorismo transnazionale di al-Qaeda, è un modo legittimo per difendere la democrazia a fronte di un nemico che mira a destabilizzare non solo gli USA, ma l'assetto internazionale. Nemico che oggi può essere considerato il nemico assoluto della democrazia. Nella sua analisi Regazzoni critica con forza anni e anni di riflessioni da parte di intellettuali conosciuti in tutto il mondo, come Derrida o Badiou, che "hanno interpretato la guerra al terrorismo con le vecchie categorie della guerra classica, statuale e sono scaduti nelle peggiori banalità vetero-marxiste" non rendendosi conto che "dopo l'11 settembre siamo entrati in una nuova era, quella del 'conflitto armato del terzo tipo' che eccede le categorie del conflitto armato internazionale e non-internazionale". Così, in queste 128 pagine cariche di spunti riflessivi, Obama diventa colui che "ha risposto alla sfida della minaccia terroristica senza complessi da intellettuale pacifista, ma con la responsabilità e la decisione di un grande statista". Simone Regazzoni racconta ad Affaritaliani.it genesi, significato e polemiche sorte intorno a questo nuovo lavoro che, 'fede politica' a parte, punta i riflettori, ancora una volta, sulla necessità di crescere insieme alla storia, liberandosi, nel metodo e nella sostanza, dei vecchi cliché a favore di modalità di ragionamento plasmate di volta in volta sulla realtà che cambia. Di questo 'atteggiamento culturale' Obama diviene modello. 128 pagine accompagnate da quel campanello d'allarme che Regazzoni propone sin dai tempi della Filosofia di Lost e che esorta a trovare categorie di pensiero sempre nuove capaci di fornire chiavi di lettura coerenti con la contemporaneità.
Dalle fiction alla pornosofia, poi gli eroi un libro dedicato alla guerra al terrorismo. Come mai?
Ogni libro ha una sua storia, che è sempre difficile ricostruire. E in ogni caso la scelta del tema non obbedisce mai, per me, ad un progetto sistematico o a un campo di studi di riferimento privilegiato. La compartimentazione accademica della filosofia non mi importa, così come l'idea di sistema. Scrivere libri di filosofia, per me, è come girare un film: a un certo punto, per le ragioni più disparate, nasce un'idea, e comincio a lavorarci. Certo, poi si possono trovare questioni ricorrenti, al limite anche un filo rosso, ma è secondario esplicitare queste cose.
Da dove nasce quindi Stato di legittima difesa?
L'idea di questo libro nasce dopo l'uccisione di Bin Laden. Volevo esplorare questo gesto rivendicato da Obama come un atto di giustizia e criticato dagli intellettuali progressisti come un gesto barbarico da Cowboy. A partire da qui, poi, il libro ha preso una forma più precisa. Si trattava di pensare filosoficamente la guerra americana contro il terrorismo, tutt'ora in corso, scompaginando la vecchia critica dell'ideologia di filosofi e intellettuali di sinistra totalmente inadeguata per pensare ciò che accade. La critica dell'ideologia, in particolare applicata alla guerra, è un ferrovecchio di cui dobbiamo liberarci se vogliamo pensare la trasformazione del mondo dopo l'11 settembre. Questo libro è, in primo luogo, un attacco al discorso intellettuale dominante a sinistra sulla guerra americana. Che opera con una strategia ben precisa. Da un lato ho provato a smontare pezzo per pezzo questo discorso. Dall'altro ho cercato di creare un libro sopra le righe, eccessivo, provocatorio, il cui modello fosse un blockbuster hollywoodiano di guerra. Si trattava di scrivere un libro di filosofia della guerra non come si scrive un saggio ponderato e distaccato sulla guerra, ma come si gira un film di guerra. Qualcuno mi ha chiesto se il titolo del mio libro, Stato di legittima difesa, sia un omaggio al filosofo Giorgio Agamben autore di Stato di eccezione. No, anzi: Agamben è uno dei miei obiettivi critici. La mia fonte di ispirazione per questo libro, per lo stile, il montaggio e il titolo, non è Giorgio Agamben, è il compianto Tony Scott, il regista di Top Gun.
Per i lettori che ancora non hanno comprato il libro... Qual è la tesi di fondo del libro?
Nel libro sostengo che la scelta americana operata da Bush, e portata avanti con forza da Obama, di rispondere con una nuova forma di guerra al terrorismo transnazionale di al-Qaeda è un modo legittimo per difendere la democrazia a fronte di un nemico che mira a destabilizzare non solo gli USA, ma l'assetto internazionale. Questo nemico è oggi il nemico assoluto della democrazia con cui non ci possono essere trattati, contro cui la deterrenza non funziona e che deve essere eliminato. Mentre è una pericolosa ingenuità pensare di combattere al-Qaeda con gli strumenti del diritto penale e la polizia, vale a dire usando il paradigma del law enforcement.
Te la prendi (filosoficamente s'intende) con gli intellettuali. Anche con il tuo maestro Derrida. In che cosa hanno sbagliato?
Da un lato, hanno interpretato la guerra al terrorismo con le vecchie categorie della guerra classica, statuale, dall'altro sono scaduti nelle peggiori banalità vetero-marxiste. Non capendo che dopo l'11 settembre siamo entrati in una nuova era, quella del "conflitto armato del terzo tipo" che eccede le categorie del conflitto armato internazionale e non-internazionale. Questa cesura storico-epocale non è stata pensata. Così ci siamo trovati di fronte alle solite condanne della guerra più o meno imperiale degli USA. I filosofi hanno evitato di pensare questa nuova forma di guerra: la sua natura, il suo legame con la democrazia, i suoi effetti. Nulla di tutto ciò è stato interrogato. Anche Derrida, che pur su molti aspetti ha detto cose importanti, ad esempio riconoscendo che gli attacchi dell'11 settembre evocavano la figura di un male assoluto, poi di fronte alla guerra non ha riconosciuto che si trattava di un nuovo tipo di guerra costituente in grado di trasformare l'assetto della democrazia americana e del diritto internazionale.
Ma quindi quale "pacifismo" giudichi senza senso?
Rispetto il pacifismo come scelta di coscienza dei singoli o pacifismo come messaggio religioso del Papa. Lo giudico senza senso, e intellettualmente stupido, per citare Zizek, in politica. Ci sono contesti in cui è necessario usare le armi, soggetti contro cui è necessario usare le armi.
Sulla questione della Siria come ti poni?
Se si riuscisse a evitare un intervento sarebbe meglio per tutti. Se cadesse al-Assad la Siria rischierebbe infatti di diventare la nuova base di al-Qaeda. Non a caso Obama, fino ad oggi, si è guardato bene dall'intervenire. L'uso delle armi di distruzione di massa da parte di al-Assad crea però un grosso problema. Se non viene sanzionato militarmente, o attraverso una distruzione concordata con il regime dell'intero arsenale (cosa molto complessa in un contesto di guerra), gli USA minano il loro potere di deterrenza nei confronti di avversari e nemici: non solo la Siria, ma la Corea del Nord, l'Iran, la Russia. Quindi ci dovrà essere una sanzione del regime, perché il potere di deterrenza americano è fondamentale sia per la sicurezza interna degli USA, sia per l'ordine internazionale che è oggi, piaccia o meno, ancora un ordine egemonico a guida statunitense. Si sta cercando una soluzione politica. Auspicabile, ma molto difficile. Se si rivelerà una via impraticabile, gli USA dovranno intervenire.
Immagino che anche questo libro abbia generato polemiche. Forse più degli altri. Ti avranno accusato, minimo minimo, di essere di destra...
Sì, questo libro sta facendo discutere in modo acceso. E gli inviti per presentazioni si moltiplicano. E' quello che auspicavo: non è un saggio accademico, ma un libro che vuole aprire una discussione. Il collettivo di scrittori Wu Ming, solitamente molto accorto e che difficilmente si espone attaccando il libro di un autore, si è distinto per il modo scomposto e volgare con cui ha attaccato il mio libro. E questo è un dato sintomatico. E' interessante riscontrare questo tipo di reazione in stile "Grillo", verrebbe da dire, da parte di un collettivo vetero-marxista che ha provato negli anni, senza riuscirci, a egemonizzare intellettualmente la sinistra radicale e le cui ricette su che cosa è la sinistra sembrano uscite da un'assemblea di studenti degli anni Settanta. Di che cosa si ha paura? Perché una reazione così forte per un libro che difende la politica di Obama? Molto semplicemente: si teme, e non a torto, che un nuovo discorso a sinistra prenda forma attorno a nodi essenziali del nostro tempo, rompendo radicalmente con le vecchie ricette buone ormai solo per condire la retorica della memoria. Certo, come sempre si prova a esorcizzare il nuovo dichiarandolo di destra, fascista. Ma questa volta il giochino non funziona: difficile liquidare Obama come uomo di destra. Piuttosto, come scrivo nel libro, Obama è oggi il nome del trauma che la sinistra deve affrotnare se vuole entrare nel XXI secolo. Ma c'è chi questo trauma non lo elaborerà mai.
Da Obama quindi che lezione devono trarre a destra e sinistra?
Saper rispondere politicamente alle sfide del proprio tempo, senza essere schiacciati da un'eredità che rischia di impedire qualsiasi forma di rinnovamento, di bloccare qualsiasi avvenire. Obama ha risposto alla sfida della minaccia terroristica senza complessi da intellettuale pacifista, ma con la responsabilità e la decisione di un grande statista. Specialmente a sinistra siamo saturi di retorica della memoria, di malinconia per il Novecento perduto: dobbiamo avere il coraggio della cesura. Dobbiamo pensare e parlare in modo nuovo, non come le caricature dei nostri padri. Vedere intellettuali della mia generazione che parlano e pensano come se fossimo ancora sotto il fascismo è uno degli spettacoli più tristi cui si possa assistere.
Quindi Obama è un eroe secondo la definizione di eroi del tuo libro "Sfortunato il Paese che non ha eroi"?
Obama ha alcuni elementi di quella definizione, che però cerco di calare in un contesto politico dove la questione degli altri, i cittadini di cui un Presidente è responsabile, diventa primaria.
A un certo punto del libro parli delle kill list. Che cosa vuoi dire raccontando di quelle missioni di Obama?
Che siamo di fronte a decisioni difficili, che il Presidente in qualità di Comandante in Capo ha avuto il coraggio di prendere per adempiere alla sua missione: "La mia prima missione in qualità di Comandante in Capo è di garantire la sicurezza degli americani" ha detto. Come tento di spiegare nel libro, gli omicidi mirati dei terroristi che Obama ha operato sono atti di legittima difesa della democrazia nel contesto di un nuovo tipo di conflitto asimmetrico in cui sono privilegiati droni e forze speciali.
Che cosa c'entra la vendetta con il ritorno alla democrazia?
Ho mostrato come nel caso dell'uccisione di Bin Laden ci fosse anche la dimensione della giustizia retributiva, vale a dire della vendetta. E che questo tipo di giustizia, in casi estremi, sia qualcosa che può avere cittadinanza nella democrazia. Democrazia e giustizia retributiva in alcuni casi sono compatibili. Provo a pensare questa compatibilità analizzando la scelta di Obama e rievocando il capolavoro di Clint Eastwood Gli spietati.
E Batman?
L'analisi del Batman di Nolan che opero nella seconda parte del libro non è altro che un tentativo di leggere le dinamiche della guerra al terrore utilizzando un'opera della cultura di massa che in questi anni è stata molto spesso interpretata in termini politici. E non a caso. La cultura di massa oggi è uno spazio essenzialmente intrecciato con le dinamiche giuridico-politico-militari degli USA. Per questo nel mio libro ho deciso di affrontare e tenere insieme tutti questi aspetti.