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Economia
Colao, l'eterno incompiuto della digital transformation che non lascia eredità

Governo Meloni, manca il ministro dell’innovazione digitale, ma fare meglio di Colao sarà semplice

Un dato di fatto e una considerazione. Giorgia Meloni, nello scegliere i nomi che comporranno il suo esecutivo, ha scelto di non prevedere il ministro della trasformazione digitale. Non si tratta di una banale etichetta, ma di un ambito in cui confluiranno oltre 50 miliardi dal Pnrr. Mica bruscolini, insomma. La premier ha già annunciato che sarà eletto un sottosegretario ad hoc, di fatto facendo rientrare qualsiasi polemica. La considerazione, invece, è più lapidaria: chiunque si occupi di innovazione e digitalizzazione dovrà fare meglio di quanto fatto da Vittorio Colao.

Breve riassunto: l’ex ministro è un manager affermato. Ricco come Creso – ma questa non è una colpa – ha guidato Vodafone per un decennio, inanellando successi, raddoppiando il numero di clienti mondiali e cedendo il colosso Verizon per 130 miliardi di dollari. Ha avviato la fusione, in India, con Idea Cellular creando un gigante che controllerà il 41% del fatturato di settore grazie a 400 milioni di nuovi clienti. Anche gli azionisti lo hanno portato in palmo di mano: in dieci anni il titolo ha aumentato il suo valore dell’80% e sono stati pagati dividendi per complessivi 121 miliardi tra ordinari, straordinari e buyback. Complessivamente, durante la sua avventura a Londra ha guadagnato oltre 65 milioni di sterline.

Qualche macchia in più dalla sua avventura in Rcs. Vero che si dimise in polemica con il cda che volle ad ogni costo comprare Recoletos, di fatto minando i conti di Via Solferino fino alla cura ricostituente di Urbano Cairo. Ma è stato un cammino complesso fino al “commissariamento” da parte del salotto buono della finanza, che gli affiancò Piergaetano Marchetti depotenziando le deleghe e le autonomie di Colao. All’epoca nell’azionariato di Rcs c’erano i vari Mediobanca, Fiat, Pesenti, Ligresti, Della Valle, Pirelli, Intesa, Generali, Capitalia, Lucchini, Merloni, Mittel, Bertazzoni, Edison e Gemina. Venne preso di mira dal Fnsi (quando ancora la stampa in Italia aveva un peso specifico) che lo accusò di fornire “risposte folcloristiche e inopportune” addebitandogli l’indisponibilità a parlare di temi reali come il rinnovo del contratto giornalistico.

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