Economia
"Dazi, accordo Usa-Ue? Disfatta per tutti. Trump è un mercante che bara e a rimetterci saranno (soprattutto) gli americani"
Carlo Alberto Carnevale Maffè stronca l’accordo sui dazi tra Bruxelles e Washington: solo un'intesa politica di massa costruita su numeri falsi e finalità propagandistiche

Ursula von der Leyen e Donald Trump
"Dazi Usa-Ue? Nessun accordo, solo una sconfitta economica per entrambi". L'intervista a Carlo Alberto Carnevale Maffè
Unione Europea e Stati Uniti si sono stretti la mano su un’intesa commerciale che fissa i dazi al 15% e scongiura, almeno per ora, una nuova fiammata nella guerra commerciale. L’annuncio è arrivato domenica dalla Scozia, con Ursula von der Leyen e Donald Trump sorridenti e in posa al golf club di Turnberry.
Peccato che, oltre alla foto ricordo e ai tweet trionfanti, dell’accordo non ci sia traccia nero su bianco. E infatti già dopo 48 ore iniziano a spuntare le prime crepe. Le versioni diffuse da Bruxelles e dalla Casa Bianca non coincidono: su punti chiave come chip e farmaci, i testi dicono cose diverse. E lo ammettono apertamente entrambe le parti.
Insomma, nonostante l’aria da svolta storica e un Trump già pronto a sventolare la bandiera della vittoria, si tratta solo di un’intesa politica senza alcun vincolo legale. Una base di partenza, forse. Ma per ora resta poco più di un annuncio. Tutto fumo e niente arrosto? Molti nelle ultime ore hanno parlato di una sconfitta per l’Europa, ma se invece fosse proprio Trump ad aver fatto un buco nell’acqua? Ne abbiamo parlato con Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di Strategia alla SDA Bocconi.
"Non c’è alcun accordo, c’è solo un’intesa politica di massima basata su numeri che non hanno alcun senso. Numeri privi di fondamento, come quelli relativi agli investimenti o agli acquisti di energia. Si tratta quindi di un’intesa annunciata per finalità politiche, in sostanza per la campagna elettorale di Trump. Ma non esiste nessun testo scritto, nessun vincolo. È stato chiaro fin dall’inizio anche per l’Europa, non poteva essere altrimenti. I veri accordi commerciali richiedono mesi di lavoro, con un’attenzione meticolosa alle merci coinvolte. Qui, invece, stiamo parlando del nulla."
Dietro l’apparente successo politico c’è, secondo Maffè, una mossa propagandistica ben precisa: "Trump ha voluto esibire la sua forza politica e geopolitica imponendo dazi. Ma va chiarito – e lo dico da economista – che i dazi, in termini economici, sono semplicemente una tassa sui beni di importazione. E chi li impone, in realtà, li fa pagare ai propri cittadini. Tecnicamente il dazio lo paga l’importatore americano, che poi lo trasferisce sul consumatore finale. È sempre stato così e continuerà ad esserlo."
A sostegno di questa tesi, Maffè cita anche i dati: "Le analisi degli esperti mostrano che l’82% dei dazi imposti da Trump tra aprile e fine giugno è stato effettivamente scaricato sugli importatori o sui consumatori finali. È per questo che celebrare un dazio come una vittoria è un’assurdità economica. Il dazio danneggia entrambe le parti, ma quella che ne esce peggio è proprio quella che lo impone - soprattutto se lo fa in modo indiscriminato, generalizzato, senza alcuna selettività. I dazi, per avere un senso, dovrebbero essere misurati e mirati, utilizzati solo in risposta a un abuso della controparte. Qui, invece, siamo davanti a una gestione dei dazi totalmente erratica."
Alla luce di tutto questo, Maffè smonta la narrazione secondo cui Trump sarebbe uscito vincitore dal confronto con l’Unione Europea. "La base economica di questo presunto accordo è del tutto inconsistente. Detto ciò, non è nemmeno così drammatico per l’Europa, perché questo accordo potrebbe essere annullato nel giro di sei mesi. La decisione spetterà alla Corte Suprema degli Stati Uniti, che dovrà valutare se Trump avesse o meno l’autorità per prendere una simile decisione. E dal punto di vista giuridico, è probabile che quella legittimità non ci sia. Se infatti la giustificazione è un’emergenza nazionale legata ai deficit commerciali, diventa difficile sostenere davanti a un giudice che un’emergenza che va avanti da cinquant’anni imponga oggi un intervento così straordinario."
Ma Maffè precisa anche un aspetto procedurale spesso ignorato nel dibattito pubblico: "Va ratificato dalla controparte. I dazi non è che li decide Ursula von der Leyen da sola. Può portarli in Commissione, ma poi serve il passaggio in Parlamento, che deve approvarli. Non basta una stretta di mano per imporre dazi: serve un processo formale. La nota positiva è che, nel comunicato diffuso poche ore fa, l’Unione Europea ha ribadito la volontà di rispettare le proprie procedure interne e quelle previste dal WTO. Questo è un punto fondamentale, perché oggi si celebra erroneamente questa intesa come una vittoria di Trump. In realtà è una sconfitta economica per entrambi."
E su questo punto l'esperto è netto: "Trump sta minando la credibilità degli Stati Uniti come partner commerciale globale. Sta distruggendo la fiducia nella loro affidabilità negoziale. È un mercante che bara, magari riesce anche a strappare un buon affare - anche se non è questo il caso - ma intanto ha perso la reputazione. L’Unione Europea, invece, quella reputazione non l’ha persa. Ha fatto ciò che doveva, ha rispettato le regole, le proprie e quelle internazionali, muovendosi secondo un modello di governance e approvazione ben preciso."
E rincara: "Se davvero si trattasse di una sconfitta europea, allora basterebbe che l’Europa imponesse un 50% di dazi agli americani". Ma, avverte, questa logica è assurda: "Se vince chi impone più dazi, allora mettiamoli anche noi. Ma è una visione profondamente illogica. Che Trump possa fare il bullo dipende anche dalla debolezza istituzionale del modello europeo. L’Unione Europea, lo ricordiamo, non è un’unione politica: è un’unione economica. Non può ingaggiare una guerra muscolare con gli Stati Uniti perché non ha il mandato per farlo. E mettere tutto il peso della colpa su von der Leyen è ridicolo, dopo ottant’anni in cui l’Europa è stata deliberatamente costruita per essere politicamente debole. Non ha un esercito comune, non ha una politica estera unificata. I sovranisti che oggi si lamentano di un’Europa fragile sono gli stessi che l’hanno voluta così. Facciano pace col cervello."
Secondo Maffè, quindi, Bruxelles avrebbe potuto muoversi con maggiore forza solo se avesse avuto un mandato politico più solido: "Se ci fosse stato, avrebbe potuto negoziare insieme a Giappone, Canada, Messico, creando una coalizione in grado di affrontare Trump da una posizione di maggiore forza. Ma quel mandato non c’era." Insomma, per Maffè si tratta di una mossa elettorale, non di una vittoria politica reale: "È una vittoria da campagna elettorale, rivolta ai creduloni. Mettere dazi significa alzare la pressione fiscale interna. È questo che non si dice mai abbastanza. Se non ribadiamo alla gente che i dazi sono una tassa in più pagata in casa propria, continueranno a illudersi che sia un atto di forza."
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E aggiunge: "Io lo dico sempre: sono tutti bravi a negoziare coi dazi degli altri. È ovvio che se metti Mario Draghi a trattare con Donald Trump, per una questione anche antropologica, le cose possono cambiare radicalmente. Basta guardare a ciò che ha fatto Mark Carney in Canada". Maffè conclude: "I dazi fanno male a tutti. Nessuno vince con i dazi. E se proprio qualcuno perde più degli altri, è chi li impone. La debolezza dell’Europa non l’abbiamo scoperta domenica sera. E se oggi ci lamentiamo di questa debolezza, la mia risposta è: bene, rafforziamola. Facciamo un progetto federale serio. Creiamo un’unione bancaria e dei capitali fatta come si deve. Abbattiamo le barriere interne. Diamo all’Europa un mandato politico. E vedrete che la prossima volta Trump non potrà fare proprio nulla."