Elon Musk lascia Tesla? Il voto che può cambiare tutto. Ecco lo scenario che spaventa i mercati - Affaritaliani.it

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Ultimo aggiornamento: 13:52

Elon Musk lascia Tesla? Il voto che può cambiare tutto. Ecco lo scenario che spaventa i mercati

Il futuro di Tesla si gioca su un voto da mille miliardi: gli azionisti chiamati a decidere se blindare Musk con un pacchetto record o rischiare il suo addio

di Rosa Nasti

Musk pronto a lasciare Tesla? Ecco perché il suo addio sarebbe un terremoto

Elon Musk ha messo il mercato davanti a un aut aut: o riceve il maxi bonus da mille miliardi di dollari o lascia Tesla. Non è la sua solita provocazione da social, ma un messaggio diretto agli azionisti chiamati a votare un piano di compensi legato a obiettivi da capogiro: portare la capitalizzazione a 8.500 miliardi di dollari in dieci anni, costruire 1 milione di robotaxi, altrettanti esemplari del robot Optimus, e raggiungere 20 milioni di veicoli prodotti.

Il consiglio di amministrazione ha già detto sì. Ora la parola passa agli investitori, spaccati tra chi lo considera insostituibile e chi pensa che Tesla, per crescere, debba finalmente liberarsi dal culto del fondatore.

Il piano prevede 423 milioni di nuove azioni per Musk, da assegnare solo se tutti i target verranno raggiunti. "Niente risultati, niente premio", sintetizza il board. Ma le dimensioni del pacchetto e ciò che ne deriverebbe (Musk arriverebbe a controllare circa il 25% del potere di voto) hanno acceso non poche tensioni.

Gli advisor come Glass Lewis e ISS ne raccomandano la bocciatura, giudicandolo "eccessivo" e "sproporzionato". Lo stesso hanno fatto fondi come CalPERS e il fondo sovrano norvegese, che parlano di "governance distorta" e "premi che diluiscono il valore per gli azionisti". Musk, dal canto suo, ha risposto senza mezzi termini: se il pacchetto non passerà, ridurrà il suo impegno o lascerà la società.

Il rischio, però, è di un effetto domino. Perché senza Musk Tesla non è solo un’altra azienda: è un’altra storia. Il titolo vale più dei nove maggiori produttori automobilistici messi insieme, pur vendendo molto meno. Un’anomalia che forse si spiegherebbe con un solo fattore: la fiducia cieca nel suo fondatore.

Bradley Tusk, venture capitalist, lo ha riassunto così: "La capitalizzazione di Tesla esiste grazie a Elon Musk. Senza di lui, perderebbe il suo moltiplicatore di fiducia". Inoltre, secondo diverse stime, un suo addio potrebbe far scendere il titolo fino al 25%. Non perché Tesla non valga nulla, ma perché verrebbe meno la narrativa che la sostiene: quella dell’uomo capace di sfidare la fisica, il mercato e la politica.

Per Dan Ives di Wedbush, uno degli analisti più vicini a Tesla, il voto sarà un plebiscito: "Ci aspettiamo un’approvazione schiacciante da parte degli azionisti", ha scritto. Ives definisce Musk "il più grande asset per Tesla". Toni più cauti arrivano da Adam Jonas di Morgan Stanley, che definisce il voto "uno degli eventi più importanti nella storia dell’azienda". Nella sua analisi del 30 ottobre, Jonas ha avvertito che una bocciatura del piano equivarrebbe a un "voto di sfiducia" nella leadership di Musk, con potenziali ricadute immediate sul titolo:ì.

C’è però un dato che i sostenitori del piano preferiscono non vedere. Tesla non vola più. Negli ultimi cinque anni è uscito un solo nuovo modello, il Cybertruck. La Model 3 e la Model Y restano bestseller, ma senza veri eredi. La guida autonoma, che doveva essere la svolta, è ancora in fase sperimentale. E ultimo, ma non per importanza, la concorrenza, soprattutto in Cina, dove BYD continua a erodere quote e margini. Il risultato? Tesla è meno innovativa, meno redditizia e più esposta.

Per molti analisti, questo è il contesto peggiore per legare il destino dell’azienda a un solo uomo. "Il board deve rappresentare gli azionisti, non il Ceo", ha ricordato alla Bbc, Matthew Kotchen, professore a Yale, criticando un consiglio "troppo vicino" a Musk.

Eppure la domanda ora è: chi al suo posto? All’interno, i nomi più citati sono quelli di Tom Zhu, artefice della crescita in Cina; Vaibhav Taneja, il CFO che ha gestito la turbolenza finanziaria; e Omead Afshar, uomo chiave della gigafactory di Austin.  All’esterno, il nome che mette d’accordo più investitori è JB Straubel, cofondatore di Tesla e oggi CEO di Redwood Materials. È l’unico, dicono alcuni fondi, che potrebbe ridare solidità industriale e continuità tecnica.

Ma la verità è che per ora Musk controlla ancora tutto. Possiede il 13% di Tesla, siede su un consiglio di amministrazione di fedelissimi e non può essere semplicemente sostituito. Immaginiamo  però che il voto vada male e lui, fedele alla sua minaccia, lasci Tesla. Nel breve, il titolo crollerebbe. Gli investitori retail, lo zoccolo duro del "muskismo", reagirebbero in modo emotivo e i competitor esulterebbero: BYD, Rivian, Lucid, e perfino i giganti tradizionali come Toyota o Volkswagen. Insomma Tesla perderebbe quella spinta narrativa che da anni la fa correre oltre i suoi numeri.

Ma sul medio periodo, un suo addio, non è detto che sarebbe un disastro. Una Tesla "post-Musk" potrebbe guadagnare in solidità ciò che perderebbe in spettacolarità: con processi più trasparenti, strategie meno impulsive e una governance meno "tossica". Ma il mercato, almeno inizialmente, non la premierebbe.

Alla fine, non si tratta di chiedersi quanto valga Musk, ma quanto valga Tesla senza di lui. E finché sarà così,  forse Elon potrà permettersi di dettare le regole, bonus o meno. Perché l’intero modello di business è costruito sull’assunto che lui resti. E quindi la vera domanda è un’altra: Tesla è un’azienda o un’estensione del suo fondatore?

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