Economia
Fbi, Apple ottiene più tempo sulle foto. Presto legge anti-privacy

Apple ottiene più tempo per rispondere all'ordine del giudice federale che ha ordinato al colosso di Cupertino di decrittare l'iPhone usato dal killer di San Bernardino "nella speranza di ottenere prove cruciali" sulla strage del 2 dicembre scorso, in cui sono state uccise 14 persone e ferite 22. A riferirlo è Bloomberg che cita fonti vicine al dossier. La risposta di Apple è slittata al 26 febbraio invece di martedì. Il giudice federale, che tre giorni fa aveva accolto la richiesta del dipartimento di Giustizia ordinando a Apple di collaborare con l'Fbi, aveva dato alla società cinque giorni lavorativi per opporsi alla sua disposizione. Subito dopo la richiesta del Dipartimento di giustizia, Apple aveva annunciato che si sarebbe opposta all'ordine del giudice federale. In un messaggio ai propri clienti, il Ceo Tim Cook aveva detto che costruire una 'back door' per accedere ai dati criptati dell'iPhone di Syed Farook costituirebbe un precedente "troppo pericoloso".
Al fianco di Tim Cook si sono schierati anche l'ad di Google Sundar Pichai e con lui si è mosso con un tweet anche il Ceo di Whatsapp, Jan Koum. L'appoggio a Apple è arrivato anche da Marck Zuckerberg di Facebook e di Twitter. Nel frattempo, però, sembra che l'amministrazione Usa questa volta vogliano andare fino in fondo. E rimettere ordine in una questione molto complessa che coinvolge, in una disputa sulla privacy e il controllo, il governo americano e Apple. La commissione Intelligence del Senato sta lavorando a una proposta di legge che renderà reato penale la scelta fatta da Cupertino, ovvero non rispettare la decisione di un tribunale che chiede al colosso di collaborare con il governo nel decrittare le informazioni dell'iPhone del killer di San Bernardino, California, che a dicembre uccise 14 persone. Lo scrive il Wall Street Journal, citando quattro fonti anonime vicine a Richard Burr, repubblicano a capo della commissione Intelligence del Senato. Una mossa che potrebbe inasprire il braccio di ferro tra Washington e la Silicon Valley, visto che ieri anche Facebook e WhatsApp hanno detto di sostenere le posizioni di Apple, che si è rifiutata di decriptare i messaggi del cellulare di Syed Rizwan Farook.
Burr non ha ancora terminato la bozza e il Wall Street Journal ha fatto sapere che per ora non c'è alcun accordo tra i politici, in un anno elettorale molto difficile. Così per Burr potrebbe essere molto complesso avere un sostegno bipartisan a una legge che sarebbe percepita dai cittadini come un nuovo attacco alle loro libertà, dopo lo scandalo del Datagate. Negli ultimi anni un numero crescente di aziende ha creato sistemi di criptaggio accessibili solo alle due persone che si sono scambiate un messaggio. Una decisione più volte attaccata dai politici e dalla polizia che invece vorrebbero avere la possibilità (con il benestare di un giudice e in casi straordinari) di entrare e decifrare i messaggi.
Ma i gruppi tecnologici e diverse associazioni per la difesa della privacy sostengono che sia sbagliato per due motivi: da una parte sarebbe una intromissione nella sfera privata di una persona e creerebbe un precedente per ulteriori incursioni. Dall'altra potenzialmente darebbe le chiavi d'accesso a hacker e a governi stranieri a messaggi che dovrebbero restare segreti. Burr ha passato mesi a fare pressioni sui gruppi tecnologici, affinché lavorassero in modo più collaborativo con Washington. Soprattutto nei casi in cui queste tecnologie vengono usate da criminali, come di fatto è successo a San Bernardino. A dicembre insieme alla democratica Dianne Feinstein aveva presentato un documento per chiedere ai social media di avvisare Washington sulle attività terroristiche online. Per ora il disegno di legge non è avanzato, anche se diversi gruppi tech hanno aumentato la loro attenzione per evitare che i messaggi dei terroristi si diffondano sul web attraverso le loro piattaforme.