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Economia
Fca, indotto in crisi già dal 2018. E con Stellantis le cose andranno peggio

I dati pubblicati da Unrae, Anfia e Federauto – tra l’altro gli annunci congiunti nel Paese delle mille sigle e dei mille campanili sono un campanello d’allarme della gravità della situazione – sul mercato dell’automobile sono impietosi: dopo una ripresa “drogata” dagli incentivi nei mesi estivi, a novembre il calo è stato superiore all’8% e, da inizio anno, mancano all’appello oltre 500mila veicoli. Ma attenzione: dare la colpa al Covid-19 sarebbe ingeneroso e miope. Perché la crisi del comparto è ben più antica dell’infame Coronavirus e aveva iniziato a dispiegare le sue ali lo scorso anno. Intanto, una precisazione: quando si parla di automotive non si intende soltanto fare riferimento ai produttori di macchine, ma anche a tutto quell’indotto fatto di 5.529 imprese attive, con oltre 274mila occupati e un fatturato vicino ai 106 miliardi di euro.

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Si tratta di chi si occupa di noleggi, di manutenzione, di vendita, di produzione di componenti. In Italia ci sono alcuni leader come Marelli (oggi parte del gruppo Calsonic Kansei), Brembo, Landi Renzo e via dicendo. Sono soggetti giganteschi che tendenzialmente sono riusciti a reggere abbastanza bene una crisi che, come detto, si è mostrata lo scorso anno. Il 2019, infatti, si è chiuso con un calo della produzione industriale automotive del 9,6%. Di più: -13,9% la fabbricazione di autoveicoli, +6,7% la fabbricazione di carrozzerie per autoveicoli, rimorchi e semirimorchi, -7,9% la fabbricazione di parti e accessori per autoveicoli e loro motori. Una brutta china iniziata nel luglio del 2018, con cali a due cifre nei mesi di novembre (-13,3%), dicembre (-12,3%). Nella media d’anno del 2019 gli ordinativi e il fatturato del comparto chiudono rispettivamente con cali del 9,9% e del 7,8%, con flessioni più accentuate per il mercato interno (-13% per gli ordinativi, -11,7% per il fatturato). 

Ora, se la speranza che il Covid-19 possa diventare un ricordo già nel 2021 è sempre più forte, c’è da capire dove andrà l’automotive. Posto che per un lungo periodo il distanziamento sociale rimarrà un’abitudine consolidata, è immaginabile che in futuro l’automobile tornerà a essere un mezzo di elezione per gli spostamenti. Al di là di qualsiasi connotazione ambientalista (se tutti si muovono in macchina le città soffocano) è presumibile che ci sarà un incremento della richiesta di autoveicoli.

Sì, ma di che tipo? È intorno a questa domanda che gira la preoccupazione dell’intero comparto. Le auto elettriche costano ancora molto e hanno qualche difficoltà a essere caricate; quelle ibride (che infatti crescono in maniera sostanziale) sembrano al momento le preferite. Ma c’è da interrogarsi su come venire incontro alle nuove esigenze: il motore termico ha delle caratteristiche che quello elettrico non ha. Chi forniva componenti per questo tipo di alimentazione non può semplicemente cambiare offerta dall’oggi al domani, con uno schiocco di dita. Significa riconvertire la produzione, formare gli operatori, cambiare le matrici di stampa. Non esattamente quello che uno si attende di fare in un momento di recessione sistemica e globale. 

La battaglia contro il diesel, per esempio, che ha motivi più ideologici che reali (quelli di nuova concezione inquinano meno dei benzina Euro6) hanno costretto grandi player a reinventarsi. Bosch, per dire, nel suo stabilimento di Bari faceva le pompe per i motori a gasolio e ha dovuto riconvertirsi per non chiudere i battenti. Ma quella è una multinazionale da oltre 77 miliardi. Un “piccolo” che magari fattura qualche milione come fa?

E poi, sull’Italia aleggia un ulteriore fantasma. In estate Fca ha mandato una lettera ai suoi fornitori annunciando che “il progetto relativo alla piattaforma del segmento B di Fiat Chrysler, è stato interrotto a causa di un cambiamento tecnologico in corso”. Tradotto: pare assodato che nell’ottica della fusione con Psa, per ottimizzare e razionalizzare le risorse si sceglierà la piattaforma adottata dalla casa francese. Con sudori freddi annessi per tutta la catena di fornitura. Chi saprà cambiare pelle resterà in piedi, gli altri se la vedranno brutta. Stellantis sarà presentata ufficialmente il prossimo 4 gennaio e lì si sveleranno le strategie future e anche i ruoli.

Perché c’è anche da dire, infine, che questo “matrimonio alla pari” tanto alla pari non è: il Ceo sarà Tavares, mentre Manley finirà a fare (se va bene) il direttore generale e, se va male, il capo del Nord America. John Elkann sarà presidente di un consiglio di amministrazione in cui la maggioranza sarà francese. Infine, nei documenti contabili si legge che la fusione sarà Psa che rileverà Fca.

Dunque, mica troppo alla pari: i francesi saranno dominanti e l’indirizzo scelto sarà il loro. Tra l’altro, in ambito industriale i nostri cugini d'Oltralpe sono molto più protezionisti di noi, e se si dovesse scegliere di impiegare i loro sistemi di produzione rischieremmo un vero bagno di sangue, a meno che non si riescano a mettere in campo sinergie che amplino il bacino d’utenza potenziale. I componentisti lo sanno bene e hanno già iniziato… ad allacciarsi le cinture di sicurezza.

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