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Economia
Finanza islamica: notizie positive sui Sukuk nel primo semestre 2017

Come tutti gli anni, nella settimana coincidente con la conclusione del Ramadan, la finanza islamica si è concessa una pausa, in linea proprio con il Corano, che invita a rimandare gli affari e i commerci dopo la festa sacra. È anche vero, però, che nel mondo moderno e globalizzato la finanza non si prende mai una pausa e i soldi si muovono e si rincorrono comunque. E proprio in questi ultimi giorni, sebbene il volume degli affari sia ben al di sotto della media, il settore accoglie importanti notizie e movimenti, soprattutto nel mercato dei Sukuk, che occorre riportare per non perdere il filo conduttore di questa estate calda e turbolenta.

 

TURCHIA, BANGLADESH, MALESIA

 

Dopo aver emesso un Sukuk Ijarah da $140 milioni, la Turchia ha annunciato di avere in programma un’asta per un secondo Ijarah, questa volta da circa $540 milioni. Le operazioni di fundraising cominceranno il prossimo agosto, mentre la maturità è di 5 anni. Il governo cingalese è invece riuscito a raccogliere $101 milioni per i suoi GIIB (Government Islami Investment Bonds), una cifra non insignificante se si tiene a mente che il Bangladesh è uno dei paesi più poveri a arretrati dell’Asia. Dal mercato obbligazionario sovrano è praticamente tutto, ma si contano le solite operazioni di routine della Malesia, con emissioni a breve termine per il finanziamento della spesa pubblica.

 

MOLTO BUONI I RISULTATI DEL PRIMO SEMESTRE

 

Intanto, è passata la prima metà dell’anno ed è già tempo di primi bilanci per questo 2017. In effetti, la notizia positiva è che siamo davanti a un record: nei primi sei mesi sono stati emessi Sukuk per il valore di $45,6 miliardi. Battuto anche il risultato migliore del primo semestre 2011, quando allora il volume si fermò a quota $40 miliardi. A fornire i dettagli è l’agenzia americana Bloomberg attraverso il suo terminal. I dati parlano chiaro: di questa cifra, per la maggior parte si tratta di operazioni obbligazionarie sovrane. Circa il 42,5% deriva da operazioni degli Stati, la restante parte invece è distribuita tra il settore finanziario, l’industriale, l’estrattivo e le comunicazioni. 

 

L'OPINIONE DI BLOOMBERG

 

La ragione del grande dinamismo dei governi, suggerisce Bloomberg con il suo esperto Ebru Boysan, dipenderebbe dai prezzi bassi del petrolio, che costringerebbero a una maggiore spesa pubblica in deficit. Se si considera che le emissioni per il 2016 sono arrivate a $71,7 miliardi, le proiezioni vedono questa cifra superata. I numeri ci sarebbero: circa $20 miliardi, infatti, andrebbero rifinanziati; mentre da settembre arriverebbero nuove emissioni di Turchia, Marocco e Kazakhistan.

 

I PAESI DEL GOLFO

 

Notizie discordanti arrivano invece dai paesi del Golfo, dove tengono ancora banco la crisi del Qatar (scade l’ultimatum inviato dall’Arabia Saudita e i suoi alleati) e il caso Dana Gas.

Da un lato, le IPO registrate in questo primo semestre sulle borse medio-orientali sono le più alte da 5 anni. 10 nuovi soggetti sono infatti entrati negli indici di Riyadh e Dubai, soprattutto compagnie attive nel settore immobiliare. Le IPO sono state sobillate dalla nascita di NOMU, indice parallelo al Tadawul saudita che ha l’obiettivo di facilitare l’ingresso delle “small cap companies”. Negli E.A.U., inoltre, i prodotti finanziari Sharia’a compliant sono cresciuti tre volte tanto i corrispettivi tradizionali nel primo semestre 2017, rimarcando l’egemonia emirata a livello internazionale.

Dall’altro lato, però, gli esperti hanno previsto un rallentamento della crescita – lo aveva evidenziato anche Standard & Poor’s in un report che avevamo già proposto – e turbolenze che potrebbero fare male ai mercati. Sulla finanza islamica, infatti, continuano a pesare le incertezze e instabilità politiche, l’elevata volatilità derivata soprattutto dal prezzo basso del petrolio e dallo scarso accesso ai servizi finanziari, ancora vera e propria zavorra per il settore. In questo clima si evidenziano comunque esempi positivi, come il Kuwait, ma pare ovvio che molto dipenda dal comportamento dell’Arabia Saudita, vero leader dei GCC.


Giovanni Prati per ActionNews Agenzia di stampa

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