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Economia
Intesa, Ubi, Creval e Sella, Dbrs: costo del rischio sottostimato sui prestiti

Banche europee e, in particolare quelle italiane, e crediti problematici: sembra un dejavù. Secondo Dbrs Morningstar (nuova denominazione della canadese Dbrs dopo il completamento della cessione al gruppo Morningstar da parte di Carlyle e Warburg Pincus, soci di controllo dell’agenzia fin dal 2015), il costo per il rischio degli istituti di credito è destinato a salire nei prossimi mesi a causa del crollo dell’economia del vecchio continente, portando alla necessità di effettuare nuovi accantonamenti.

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A Dbrs Morningstar sembrano preoccupare in particolare, tra gli istituti italiani presi in considerazione (Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banco Bpm, Ubi Banca, Mps, Credito Valtellinese e Banca Sella) coloro i quali finora sono sembrati i “primi della classe” in virtù di un costo per il rischio inferiore alla media europea. Se la lettura degli analisti si rivelasse corretta, chi come Unicredit (902 milioni di accantonamenti già spesati nel primo trimestre), Banco Bpm (213 milioni di rettifiche nette inclusi 70 milioni di accantonamento su crediti finora considerati “in bonis”) o Mps (193 milioni) si è già portato avanti, potrebbe dunque recuperare terreno in termini di qualità del credito rispetto a chi, come Intesa Sanpaolo (300 milioni), Ubi Banca o Bper Banca (una cinquantina di milioni a testa) ha preferito procedere in modo più graduale.

Victor Massiah
 

Non è la prima volta che la critica viene mossa, tanto più da parte di chi ha confrontato le scelte fatte da alcune tra le più importanti banche europee (Banco Santander ha accantonato 3,9 miliardi di euro, Hsbc 3 miliardi di dollari, Credit Suisse un miliardo) o americane (le sette principali banche, Jp Morgan Chase, Bank of America, Citigroup, Wells Fargo, Us Bancorp, Goldman Sachs e Pnc Financial Services, hanno accantonato complessivamente 27 miliardi di dollari per i rischi legati alla pandemia di Covid-19 e ai suoi impatti economici). 

O, nel caso di Intesa Sanpaolo, da parte di chi, come il quotidiano britannico Financial Times, ha sottolineato i rischi legati ad una fusione come quella che si sta tentando di portare avanti con Ubi Banca. Inutile girarci attorno: l’atteso tracollo dei Pil in tutte le economie europee e gli livelli di disoccupazione che caratterizzeranno tutto il 2020 e probabilmente anche il 2021, avranno un impatto negativo su una redditività che resta da anni modesta (anche a causa della necessità di rafforzare e pulire i bilanci dai crediti deteriorati esplosi dopo la crisi del debito del 2010) oltre che sulla qualità dei risultati degli istituti di credito. 

Lovaglio Creval
 

Se è impossibile ad oggi stimare con esattezza quale sarà l’impatto dell’epidemia di Covid-19 sulle economie e sui settori bancari europei e mondiali, dipendendo in buona parte dall’entità che avrà la recessione e dai tempi di recupero (a loro volta condizionati dalle misure di sostegno varate da governi e banche centrali), viariabili che nemmeno gli istituti italiani ad esempio con i loro modelli interni riescono a decifrare, già ora la ripresa degli accantonamenti su prestiti si è tradotta in un aumento del costo del rischio calcolato in base alla percentuale del totale degli impieghi netti. In media, secondo Dbrs Morningstar, su un campione di una quarantina di istituti europei, il costo del rischio nei primi tre mesi dell’anno (che solo per l’ultimo mese hanno iniziato a risentire degli effetti dei lockdown) è salito a 86 punti base (0,86%), contro i 23 punti base di un anno prima e ai 38 punti base di fine dicembre. 

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I nuovi accantonamenti hanno rispecchiato l’aggiornamento da parte degli istituti dei propri modelli valutativi per tener conto di prospettive economiche più negative, ma ora che la qualità del credito inizia a peggiorare, complice anche la fine della moratoria sul debito, gli analisti si aspettano una progressiva migrazione di posizioni finora classificate come “level 2” (crediti in bonis) verso il “level 3” (crediti deteriorati, a partire dagli “unlikely to pay”, incagli e inadempienze probabili, fino ai “non performing loans”, sofferenze su crediti).

Se le grandi banche del Regno Unito hanno registrato in media il costo del rischio di 141 punti base, quelle italiane con 87 punti base in media risultano allineate alla media del campione, mentre meglio sembrano stare per ora le banche francesi (52 punti base) e tedesche (44 punti base). La sensazione, ribadiscono gli uomini di Dbrs Morningstar, è che banche in spagnole, portoghesi e italiane abbiano registrato in media un costo del rischio “che a nostro avviso pare relativamente basso, in particolare considerando che lo shock economico in questi Paesi dovrebbe essere pronunciato”. Si tratta infatti di economie molto esposte a settori gravemente colpiti dai lockdown, come il turismo, e con una elevata percentuali di piccole e medie imprese (strutturalmente più fragili delle grandi aziende).

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Insomma: chi come il Bbva (269 punti base di costo dei rischio) Barclays (226 punti base), Mps (173 punti base), Unicredit (103 punti base) o Banco Bpm (80 punti base, in linea con la media) ha avuto utili capienti e ha deciso di fare pulizia in casa prima che promettere pingui dividendi ai propri azionisti, potrebbe nei prossimi trimestri dormire sonni relativamente tranquilli rispetto a chi ha fatto (o ha dovuto fare) scelte opposte ed ora vede un costo del rischio modesto ma in prospettiva destinato a salire, come Ubi Banca (73 punti base), Intesa Sanpaolo (70 punti base), Credito Valtellinese (62 punti base) o Banca Sella (46 punti base). Senza scordarsi alcuni colossi d’oltralpe come Deutsche Bank (45 punti base), Credit Agricole (40 punti base) o Nordea (19 punti base). 

Livelli di costo del rischio che “saranno difficili da mantenere in futuro” e, di conseguenza, portano gli analisti a prevedere “che gli istituti con un costo del rischio più basso nel primo trimestre 2020 dovranno registrare nei prossimi conti aggiustamenti importanti”. Con inevitabili conseguenze sulle quotazioni dei titoli in borsa e, c’è da scommetterlo, con nuovi annunci di tagli dei costi e riduzioni di personali e sportelli in arrivo per cercare di compensare una simile tendenza, salvo possibili ma al momento ancora non prevedibili “miracoli economici” che consentissero di mantenere in vita un buon numero di aziende al momento in crisi, per non dire di fatto già “zombie”.

 

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